Di topi ed elaboratori

Le palle dei topi sono da oggi disponibili come parti di ricambio. Se il vostro topo ha difficoltà a funzionare correttamente, o funziona a scatti, é possibile che esso abbia bisogno di una palla di ricambio. A causa della delicata natura della procedura di sostituzione delle palle, è sempre consigliabile che essa sia eseguita da personale esperto.

Prima di procedere, determinate di che tipo di palle ha bisogno il vostro topo. Per fare ciò basta esaminare la sua parte inferiore. Le palle dei topi americani sono normalmente più grandi e più dure di quelle dei topi d’oltreoceano. La procedura di rimozione di una palla varia a seconda della marca del topo. La protezione delle palle dei topi d’oltreoceano può essere semplicemente fatta saltare via con un fermacarte, mentre sulla protezione delle palle dei topi americani deve essere prima esercitata una torsione in senso orario o antiorario. Normalmente le palle dei topi non si caricano di elettricità statica, ma è comunque meglio trattarle con cautela, così da evitare scariche impreviste. Una volta effettuata la sostituzione il topo può essere utilizzato immediatamente.

Si raccomanda al personale esperto di portare costantemente con se un paio di palle di riserva, così da garantire sempre la massima soddisfazione dei clienti.

Nel caso in cui le palle di ricambio scarseggino, è possibile inviarne richiesta alla distribuzione centrale utilizzando i seguenti codici:

PIN 33F8462 – Palle per topi americani

PIN 33F8461 – Palle per topi stranieri

Questo manuale interno per i dipendenti IBM circola da qualche decennio fra gli informatici (e non solo) italiani come fonte di risate e scherno nei confronti di un traduttore considerato troppo zelante.
Gli Italiani sono fatti così: prendono per i fondelli i “nazionalisti” francesi che osano chiamare il computer ordi(nateur) e il mouse souris, senza rendersi conto di rappresentare invece una vera e propria eccezione a livello mondiale.
Computer, monitor, mouse, scanner, hard disk, docking station e compagnia sono tutti termini entrati nell’utilizzo comune in ambito informatico, e il loro uso suona oggi naturale: quando ti muovi all’estero, però, ti rendi conto in fretta di come negli altri paesi non sia generalmente così, al punto di cominciare a farti domande sull’esterofilia dilagante nello stivale.

"Senza palle, a chi!?!"
“Senza palle, a chi!?!”

Un termine come computer è, ad esempio, usato anche in paesi come Danimarca, Paesi Bassi e Germania. Buona parte degli europei, però, utilizza invece un termine nella propria lingua: qui in Svezia è dator, in Finlandia è tietokone, in Norvegia è datamaskin. Ma anche le nazioni neolatine non scherzano: ecco il computador portoghese, la computadora castigliana, il già citato ordinateur francese, il calculator rumeno e così via. E il resto del continente? Andiamo dal počítač ceco allo számítógép magiaro, passando per l’arvuti estone e il bilgisayar turco. Poi è chiaro che, probabilmente, in buona parte di questi paesi si utilizzerà o, quantomeno, comprenderà anche il termine computer, ma non è comunque il lemma principale per indicare quello che in Italia potremmo tranquillamente chiamare “elaboratore“.
Ma se computer ha comunque una certa diffusione, stati sicuri che il “mouse” sarà chiamato pressochè in ogni paese con l’equivalente locale della parole “topo”. E, statene altrettanto sicuri, per loro è nomale. E nessuno ride. Svedese? (Dator)mus! Tedesco? Maus! Danese? Mus! Spagnolo? Ratón! Polacco? Mysz! Finlandese? Hiiri… e così via!
Solo in italiano abbiamo deciso di perdere completamente il riferimento all’animaletto “topo” per utilizzare, senza alcun motivo, un termine straniero.

Gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Solo per restare nell’ambito dello svedese, qui un monitor è uno skärm, l’hard disk è un hårddisk (termine ibrido, ma almeno non totalmente estero), un tablet è un surfplatta, una docking station (termine che in Italia si abbrevia orribilmente con “la docking”, come se fosse l’aggettivo a prevalere) è una Dockningsstation. L’unico termine che probabilmente si salva ancora in italiano è “tastiera” (per i curiosi: tangentbord in svedese), forse perché preesistente e radicato.
Anche quando avevamo termini italiani che venivano utilizzati, come “schermo”, “disco rigido” o “scheda madre”, ormai si usa più di frequente, soprattutto nel linguaggio comune, l’equivalente inglese maccheronico (arrdìsk?).
Persino nell’inventarci nuovi verbi, siamo riusciti a riadattare malamente la terminologia inglese, invece che usare l’impalcatura dell’italiano preesistente. Ecco quindi gli orribili formattare, masterizzare (il più insensato di tutti), scannerizzare e così via.
Non parliamo poi, di quando si prova a fare i fighi con gli acronimi, finendo per arrivare a pronunce esilaranti: non sapete quante volte ho sentito HDMI trasformato in “acca-di-emme-ai”, tre quarti in italiano e un quarto in inglese!

Per carità, in qualche caso l’inglese fa comodo ed è penetrato anche qui in Svezia: ad esempio si dice “mejl*” (ma esistono anche i nativi e-post ed e-brev) perchè effettivamente è più comodo e veloce di elektroniskt meddelande; si utilizza “att surfa” (surfare, navigare su internet) perché, in fondo, si conserva comunque la metafora originale… però si tratta per lo più di eccezioni pratiche, spesso dovute all’assenza di eventuali termini concisi, che non costringano a locuzioni particolari. E anche se inglesizzazioni discutibili non mancano neppure qui, magari con qualche frase fatta derivata dai film in lingua originale, direi che c’è un rispetto decisamente maggiore della propria parlata.

Quello che è certo è che l’esterofilia linguistica degli Italiani, in ambito tecnico (ma non solo), lascia davvero interdetti. Perché abbiamo dovuto buttare via la nostra lingua, e ci siamo dovuti perdere dietro a termini come “mouse”, “tablet”, “touchpad”, “gamepad”, “tower”, “laptop”, che in italiano non hanno alcun significato, quando avremmo potuto usare altri termini già esistenti o inventarcene di adeguati? Perché dobbiamo essere gli unici al mondo a ridere di fronte ad un sensatissimo** manuale di istruzioni scritto per la nostra lingua, e perché dobbiamo anche divertirci a sfottere quelli che, in altri paesi, usano correttamente la propria parlata? Perchè fa più cool? Mentre ci penso, vi devo lasciare… Devo andare ad un meeting che sono riuscito a fatica a fittare nella mia schedule e che si terrà in una venue davvero spettacolare. Se poi avrò tempo, questa sera mi vedrò il replay del parbuckling della Costa Concordia, in time lapse sulla mia televisione full-accaddì! Alla prossima!

* notare come agli svedesi piaccia tuttora riadattare le lingue estere alla propria fonetica: un altro esempio è “dejt”, che si usa perché è un po’ difficile rendere l’eccezione britannica di “date” (inteso come appuntamento romantico, ma anche come la persona che è oggetto dell’appuntamento stesso).

** d’accordo, personalmente avrei utilizzato “sfere” al posto di “palle”…

15 pensieri riguardo “Di topi ed elaboratori

  1. Il termine “fittare” mi ha lasciato un attimo allibito: ho dovuto rileggere la frase 3 volte per capire cosa volevi realmente dire 😉

    Hai messo il dito in una piaga dolente per me. Il maltrattamento della lingua italiana- Non sono contrario all’adozione di termini stranieri (in fondo una lingua evolve anche appropriandosi di parole altrui) quanto alla convinzione che la pronuncia importata sia quella della lingua originale. Vedi compiuter, il già citato arrdisc, steig (parola francese ma importata con una improbabile pronuncia all’inglese)…

    Anche lo svedese però non scherza: oltre a “dejta”, ho sentito “fajta” (Paolo Roberto), “adda” (da “to add”), “coolt” (omamma!), “coola” 🙂

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    1. È vero che anche in svedese ci sono obbrobri, ma, almeno, si parla di slang.
      Quelli dell’informatica italiana sono, purtroppo, termini diventati ufficiali.
      “Fittare” l’ho sentito con le mie orecchie due volte, da persone diverse e a qualche anno di distanza. Entrambe le volte con profondo brivido lungo la schiena. 😀

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  2. Bell’articolo. Questi purtroppo sono solo alcuni esempi (vogliamo parlare della trovata “blizzard”, termine utilizzato qualche inverno fa dai nostri tg?). Due anni fa mi è capitato di fare un colloquio presso Amazon. Non ti dico quanti termini inglesi ha usato il manager (milanesissimo) al posto di quelli italiani pur esistenti. Sono uscito disgustato, ma immagino tu sappia benissimo quanto sia diffusa questa abitudine in certi ambiti. Il peggio è che
    abbandoniamo certi termini e nemmeno ce ne accorgiamo.

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    1. Beh, conosco svedesi che si salutano (al momento di separarsi) con “ciao”. Per carità, piccole cose che ci stanno. Il “bra” (bene, bravo) svedese deriverebbe proprio dal “bravo” italiano, tramite l’opera. In Italia, dopo la guerra, ci siamo inventati la bistecca.
      Ma un conto sono influenze che possono rinnovare la lingua, un conto abiurare completamente o quasi la propria parlata in contesti tecnici o ufficiali.

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  3. Il problema non è presente solo negli ambiti tecnici/informatici (in cui un linguaggio più “anglofonizzato” avrebbe anche senso, forse perché la velocità con cui evolve la tecnologia e troppa perché la nostra lingua le stia al passo) purtroppo! Sento sempre più spesso dire “weekend” (fine settimana), “t-shirt” (maglietta), “location” (località), “party” (festa), ecc… Qui non si ha la necessità di usare parole inglesi per sopperire a una mancanza della lingua italiana. Per quale assurdo motivo abbiamo deciso di sbarazzarci della nostra lingua!? Per non parlare dello “slang” da brividi tipo “loggare”, “taggare/staggare” “linkare” nato su piattaforme come Twitter e Facebook che lascia il tempo che trova.
    Ma chi sa perché, nonostante la nostra esterofilia, sempre più esilarante, siamo uno dei paesi europei in cui la lingua inglese è meno masticata, mentre in paesi come la Svezia (in cui la lingua per la maggior parte dei casi mantiene la sua dignità originale) tutti lo parlano senza problemi. Un altro paradosso all’italiana?

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  4. Confesso…Faccio parte di quella parte d’informatici che rideva leggendo il manuale e di quella che sfotte(va) i francesi quando sentiva parlare di “mot de passe” invece della, a mio parere, più sensata “password”.
    Confesso anche che non sapevo che in altre lingue oltre quella francese fosse comune tradurre ogni parola straniera. Davo per scontato che si comportassero come noi italiani, utilizzando i termini inglesi, anche perché con tedeschi, spagnoli, etc non ho mai avuto le difficoltà che ho avuto con i francesi per farmi capire utilizzando termini informatici di uso comune in inglese.
    Sicuramente da quando sono all’estero ho rivisto un po’ questo mio punto di vista, constatando quanto l’esterofilia italiana rappresenti molto spesso più un danno che un arricchimento, al contrario di altre culture. Apprezziamo, ma soprattutto difendiamo molto poco la nostra lingua, il nostro talento e la nostra tradizione e il risultato non è affatto edificante.
    Su questo dovremmo imparare dagli altri, molto.

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  5. Vogliamo parlare dell’innominabile C++ “Ci plas plas” o, per uscire dallo stretto ambito informatico, degli orribili “staffare” e “briffare”???

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