Una delle grandi tradizioni natalizie svedesi è lo Julkalender televisivo: una consuetudine iniziata nel 1957 con il programma radiofonico Adventkalendar (“Calendario dell’avvento”) e portata poi in televisione nel 1960. Nel 1971, il nome è diventato quello attuale (“Calendario di Natale”), e il primo episodio è stato spostato dalla prima domenica dell’Avvento (data variabile) al primo dicembre (data fissa).
Di cosa si tratta esattamente? Di una serie televisiva, nuova ogni anno, di 24 episodi, trasmessi sulla televisione di Stato (ma continua anche ad esistere uno julkalender radiofonico) dal primo dicembre fino alla vigilia. Il tema è fiabesco, e ovviamente il pubblico di riferimento è quello dei bambini, ma le storie sono generalmente avvincenti anche per gli adulti, con continui cliffhanger che ti lasciano con il fiato sospeso fino all’episodio del giorno dopo.
In generale, si trova di un’ottima forma di narrativa televisiva seriale: negli ultimi anni, poi, la maggiore qualità degli effetti speciali e la crescita del livello medio di recitazione, hanno contribuito a rendere ancora più spettacolari le varie serie. Il serial dell’anno può essere basato su lavori di narrativa preesistenti, ma il più delle volte è un’opera totalmente originale. Poi, sia chiaro, ci possono essere julkalender più e meno riusciti, ma quando sono fatti bene sono davvero coinvolgenti.
Agli julkalender radiofonici vengono abbinati due calendari cartacei, disegnati ogni anno da artisti diversi e venduti nelle librerie del paese: dopo ogni episodio del serial si può assistere ad un’appendice (intitolata “Lucköppning”) in cui il presentatore o la presentatrice dell’anno aprono la finestrella giornaliera, ponendo l’enfasi su qualche elemento della trama.
Il serial di quest’anno si intitola Snödrömmar (“Sogni di neve”), e racconta di una famiglia sami messa in difficoltà dalla mancanza di neve sui terreni che appartengono loro da generazioni: toccherà alle due bambine risolvere il magico mistero alla base del problema.
L’enfasi sui sami quest’anno è particolare, e il serial viene anche trasmesso nella relativa lingua. Anche il Lucköppning è nelle due versioni, con presentatrici diverse.
Ovviamente è troppo presto per esprimere un giudizio, ma questi primi episodi non ci hanno particolarmente impressionato. Poco male, perché nel peggiore dei casi ci possiamo consolare con la replica del julekalender norvegese del 2020, Stjernestøv (“Polvere di stelle”)!

Sì, perché la tradizione nata in Svezia è stata poi ripresa anche negli altri paesi nordici, e la Norvegia ha trasmesso il suo primo julekalender nel 1970. A differenza che da noi, però, la televisione di stato norvegese (NRK) non crea necessariamente un proprio serial ogni anno, ma a volte si limita a ripresentarne di già trasmessi, mentre reti concorrenti ne trasmettono di propri (non necessariamente di fiction).
Quest’anno NRK ha deciso di ripresentare quello Stjernestøv già trasmesso nel 2020, e accolto con molti elogi. Poco male per noi, perché all’epoca ce l’eravamo perso!
Per quello che abbiamo notato, la qualità dei serial norvegesi non ha nulla da invidiare a quelli svedesi, anzi. Il budget è probabilmente anche superiore. Fra l’altro, c’è una particolare atenzione alle colonne sonore, con canzoni folk che hanno spesso un grande successo. Questa che sentite qui sopra, è della cantante Aurora (bellissimo nome!), ed è tratta proprio dal serial in oggetto.
Fino a questo momento, Stjernestøv ci sta piacendo decisamente più di Snödrömmar, vedremo con il prosieguo! Non è comunque la prima volta che preferiamo un serial norvegese: uno dei nostri preferiti è infatti, Snøfall, uscito nel 2015 e considerato in Norvegia uno dei migliori in assoluto. Anche di questo vi faccio sentire la canzone portante, Selmas sang (“la Canzone di Selma”), un brano che riesce a scuotere il cuore anche di un hardrockettaro impenitente come il sottoscritto!
E il Norvegese? Beh, lo capiamo. Magari con l’aiuto di sottotitoli (sempre in norvegese) per cogliere quelle parole pronunciate in maniera un po’ troppo differente, ma alla fine si tratta di una variante della stessa lingua: alcune parole ci sembrano un po’ buffe, e la pronuncia sempre euforica… ma siamo tranquillamente in grado di seguire tutti i concetti. Perché non è mica danese!



