Parlando di Svezia e Genoa

Nel fine settimana mi sono ritrovato a parlare della Svezia e del mio Genoa (da perfetto incompetente) come ospite di “Genoani… si resta“, il podcast dei genoani all’estero!

Trovate la registrazione della puntata qui:

Se vi interessa la parte sulla Svezia, la prima parte della puntata è dedicata all’argomento.

Ringrazio ancora una volta Gagge, Ceva e Talla per l’ospitalità!

Un mondo all’incontrario

Uno degli svantaggi del vivere in campagna è che spesso hai a che fare con persone dalla non troppo ampia apertura mentale e comprensione di ciò che sta succedendo nel mondo. Quello che però non ti aspetti è a che a presentarsi in questa maniera siano le persone che lavorano nel sistema educativo.
Ora, cominciamo con una premessa: l’inizio scolastico di Aurora non è stato dei più fortunati. Proprio in coincidenza dell’apertura dell’anno didattico, mio padre si è malato gravemente, ed è poi venuto a mancare. Quindi, fra viaggio in Italia, quarantena che ci siamo imposti (perché moglie e figlia si sono prese un forte raffreddore al rientro) ed altro ancora, Aurora ha effettivamente perso dei giorni di scuola all’inizio. Ma ha comunque recuperato in fretta (qui si procede molto lentamente, e lei sa già leggere bene), e a scuola va sempre volentieri.
Alla direzione e al personale scolastico, però, questo inizio non è andato bene, e soprattutto non va bene una cosa: Aurora è l’unica bambina a scuola a preoccuparsi di 1) indossare la mascherina 2) cercare di mantenere le distanze. E sia chiaro che non la costringiamo noi: lei è ben felice di portare la mascherina e ci tiene a non avere altri bambini incollati a lei.
All’inizio dell’anno scolastico, ancora, qualcosa per provare ad arginare la pandemia si faceva. La ginnastica si faceva all’aperto, non si faceva la doccia a scuola, le classi pranzavano separate. A nostro avviso era troppo poco, ma comunque meglio che niente. Da metà settembre, nulla di tutto ciò. Ginnastica al chiuso, Aurora obbligata condividere la doccia con un’altra bambina (!), banchi raggruppati ad isola, alunni incoraggiati a suonare a turno lo stesso strumento a fiato (!!), a massaggiarsi (!!!) Insomma: secondo la nostra scuola (che sicuramente seguirà alte direttive), la pandemia non esiste.
Il vero problema, per loro, è la mascherina. Più volte è stata invitata a togliersela dal personale docente (indecente?) perché “non ti sentiamo bene”, “ma perché la porti?”, “se fai la doccia la devi togliere”. Lei, giustamente, si rifiuta.
Poi sia chiaro, ci sono state altre assenze occasionali. Se Aurora un giorno è fortemente raffreddata o ha la temperatura alta, quel giorno non la mandiamo a scuola, in giornata la testiamo (abbiamo comprato i test rapidi salivari, che facciamo a casa) e se tutto è a posto la mandiamo il giorno dopo. Cerchiamo di avere un approccio responsabile.
Ora, da oltre una settimana Aurora ha una febbriciattola che si trascina: nulla di serio (speriamo!) ma stiamo indagando con il vårdcentral per capire cosa sia esattamente, visto che non è la prima volta che succede. La diagnosi sta prendendo più tempo del previsto perché all’inizio non eravamo sicuri che la febbre fosse una conseguenza del vaccino anti-influenzale e poi perché l’ambulatorio non ha accettato (giustamente!) il risultato del test rapido e, prima di visitarla, ha voluto il risultato di un tampone molecolare.
Bene: approfittando di questa assenza, la preside della scuola ha deciso di segnalarci ai servizi sociali. Per le assenze? Anche, ma soprattutto perché “costringiamo la bambina ad indossare una maschera a scuola”. Oggi abbiamo chiamato la responsabile dei servizi sociali per fissare un appuntamento, ma ci ha chiesto subito “ma che maschera è?” E quando le abbiamo spiegato che è una mascherina per evitare il Covid-19 si è messa a ridere, ha risposto “ma io vi capisco!” e ci ha detto che rispedirà la segnalazione al mittente. Qualcuno con cervello, in un mondo all’incontrario, c’è.

Due grafici

Una delle cose che leggo/sento più spesso, quando sento parlare della strategia svedese è “la Svezia è riuscita contenere la pandemia senza sovraccaricare gli ospedali”. Vorrei controbattere a questa affermazione con due grafici, presi direttamente dal sito di Folkhälsomyndigheten e quindi ufficialissimi.


A sinistra trovate i nuovi decessi per giorno. A destra i nuovi ricoveri in terapia intensiva per giorno. Ecco, adesso soffermatevi sulle differenti scale, e riflettete un attimo. Penso sia chiaro: per ogni due persone che morivano, ne provavano a curare una. Capito perché non si è andati in saturazione?

È una cosa di cui avevamo già discusso in passato: come spiegato nell’aggiornamento al post Di anziani e terapia intensiva negata, effettivamente si è deciso di iniziare a fare selezione all’ingresso al riguardo di chi aveva diritto alle cure.

E sia chiaro, non si parla solo delle terapie intensive più acute, come le intubazioni. Un larghissimo numero di anziani è stato lasciato nelle abitazioni e negli ospizi senza cure di base. Solo morfina e cure palliative. Niente ossigeno, niente anticoagulanti, niente endovene.

Lo racconta (fra gli altri) il Dagens Nyheter, uno dei quotidiani più autorevoli di Svezia, non certo una testata complottara o apioristicamente antigovernativa.




Bisogna conoscere un medico per poter vivere?
(…)
In primavera si diceva che era importante proteggere gli anziani dal COVID-19. Ma proprio la maniera in cui sono stati trattati gli anziani lascia una ferita aperta
(…)
Perché gli anziani sono stati lasciati morire senza cure?
(…)
Nonostante ci fossero posti disponibili, agli anziani malati di COVID-19 sono state negate le cure a più riprese
(…)
(Viene raccontata la storia di un anziano salvato dal figlio medico, che all’ennesimo rifiuto ha sfruttato i propri agganci per costringere l’ospedale a farlo ricoverare)
(…)
Ciò di cui si necessitava non era trattamento coi ventilatori, ma le cose con cui le cliniche geriatriche lavorano normalmente: trattamento endovena, anticoagulanti, ossigeno.
(…)
Il sapere questo ha salvato la vita di Claes Hildebrands. Ma c’è stato bisogno di un figlio capace di affrontare la discussione, che in più era un medico.


Si dirà, “anche in Italia ad un certo punto si sono lasciati gli anziani senza cure”. Vero (probabilmente). La differenza è che in Italia lo si è fatto quando si è arrivati alla saturazione, e solo nelle zone interessate. In Svezia lo si è fatto per non andare in saturazione. Razionalmente e cinicamente potrebbe essere stato un approccio giusto, per riuscire a garantire le cure a chi aveva una possibilità maggiore di salvarsi. Moralmente ed eticamente lo sarebbe stato solo se si fosse fatto qualcosa per evitare di arrivare a quella situazione, se si fosse cercato seriamente di limitare il contagio. Il problema è che questo qualcosa non lo si è fatto, e quindi la scelta è stata eticamente inaccettabile.

Quello che non si può fare a meno di chiedersi è come sia possibile che le persone che hanno sbagliato tutte le valutazioni e le previsioni da febbraio ad oggi, possano essere ancora al loro posto. Se finalmente si cominciano a vedere qualche crepe nella fiducia nei confronti di FHM, è davvero intollerabile vedere Anders Tegnell e i suoi ancora lì. In qualunque altro posto, chi ha letteralmente sbagliato tutto sarebbe stato mandato a casa da tempo.

Un grafico con tutte le “ultime parole famose” di Tegnell e FHM.
Fonte: https://twitter.com/DrEricDing/status/1327770748036009987/photo/1


Ormai sono in molti a concordare nel fatto che l’atteggiamento di FHM, il loro sottovalutare continuamente il problema e mandare segnali discordanti, abbia contribuito a fare sì che 1) le regioni siano arrivate impreparate alla seconda ondata 2) la popolazione si considerasse fuori pericolo cominciando ad avere atteggiamenti più liberi.
Forse anche per questo, Stefan Löfven e il Ministro della Salute Lena Hallengren hanno iniziato a farsi vedere più di frequente in televisione. Speriamo che sia l’inizio di un cambio importante!

No, non è un complotto

Questo articolo del Post spiega ottimamente perché le politiche svedesi sul Coronavirus non stiano funzionando. Il pezzo racconta molto bene come, a paragone dei paesi vicini (gli unici cui si possa paragonare, per questioni demografiche, culturali e sociali), la Svezia stia andando malissimo.

Ovviamente, le reti sociali sono però ovviamente strapiene di rincoglioniti che immaginano complotti inesistenti, che si inventano giornalisti al soldo di Conte per certificare la validità delle scelte del governo italiano e denigrare la libera Svezia.

Uno dei video che gira più spesso è quello di un presunto giornalista di un sito complottaro che paragona la curva del grafico svedese a quella italiana. Peccato che il tipo non consideri assolutamente due fattori e non sia assolutamente in grado (o non abbia intenzione di farlo) di capire i numeri svedesi.

Esattamente come per la prima fase, la seconda ondata è arrivata in ritardo rispetto all’Italia. Ed è arrivata sul serio.

Il secondo fattore è che in Svezia i numeri arrivano spesso in deciso ritardo, e che quindi non si possono considerare attendibili quelli degli ultimi 10-15 giorni.

Questa animazione fatta la scorsa primavera mostra come la curva dei decessi tenda, in in un determinato momento, ad apparire molto più piatta di quanto non sia in realtà. Una volta che i numeri siano arrivati e siano stati inseriti nel giorno giusto (fenomeno che qui si chiama eftersläpning, ovvero rilascio ritardato), ecco che la situazione per lo stesso giorno apparirà molto diversa.

Chi, come il sottoscritto, ha guardato i numeri quasi quotidianamente sa che in determinati periodi l’inattendibilità dei dati è arrivata a quasi tre settimane.

Dire che non c’è una seconda ondata, perché si guardano i dati delle ultime due settimane e sembrano piatti è semplicemente incapacità di guardare i dati conoscendo il loro contesto. O malafede.

Con queste premesse, è molto probabile che una proiezione credibile dei dati attuali dei decessi sia quella di questo grafico.

Per quanto riguarda la psichiatra italiana che lavora a Stoccolma, vorrei ricordare quegli “illustri” medici italiani che parlavano di virus clinicamente morto, o stupidate del genere. Non commento.

L’articolo di Expressen sulla seconda ondata mostra una situazione decisamente più tragica e realista. Fatevi un favore, usate Google Translate e leggetelo. Il link è questo.

Se poi pensate che i giornali italiani siano al soldo di Conte, devo dedurne che dobbiate pensare la stessa di cosa di quelli svedesi, ogni volta che appare una dura critica alla strategia locale. La lunga mano del Presidente del Consiglio ha dell’incredibile!

Per diversi mesi Folkhälsomyndigheten e l’epidemiologo di stato Anders Tegnell hanno detto di non credere ad una seconda ondata. Ora crescono il numero dei morti e la pressione sulla sanità, mentre la capacità di fare test ha raggiunto il limite in diverse parti del paese. Responsabili della sanità e politici ritengono cue gli errori di valutazione dell’autorità abbia influenzato la loro capacità di essere preparati e la volontà degli svedesi di seguire le restrizioni.


La strategia svedese non protegge i più deboli


La strategia svedese non regge più.


Critica contro la Svezia. Tattica sbagliata – ci sono stati più morti


Insopportabile, poi, leggere da parte di chi la Svezia l’ha vista solo col cannocchiale, celebrazioni di una sanità che è in realtà molto carente (scarso accesso ai medici, personale sovraccarico di lavoro, pochissimi letti d’ospedale, pochissimi esami preventivi) e del senso civico degli svedesi, quando ancora adesso nessuno è in grado di quantificare esattamente quanti non seguano le raccomandazioni di FHM (ancora di recente ho visto girare da parte di medici cifre a caso fra il 20 e il 50%), dato che non esiste alcun numero attendibile al riguardo.

Quindi, per tutti quelli che si augurano una strategia alla svedese in Italia, una bella domanda: se una strategia si rivela la peggiore possibile in una regione (il nord Europa) dove, per questione demografiche, culturali e sociali, è più “facile” contenere il virus… quanto bisogna essere cretini per pensare di poter proporre la stessa strategia in una regione in cui è più complicato farlo?

(e, sia chiaro… tutto questo senza esprimere alcun giudizio di merito su quanto si sta facendo in Italia)


Nota: questo articolo vi è stato offerto da un assegno pagato dal Presidente del Consiglio Conte.

Quattro mesi dopo

Mi sono preso una pausa di riflessione dalla scrittura sul blog (e me ne prenderò altre) in attesa di verificare gli sviluppi della situazione covid-19.
Sono passati appunto quattro mesi, e molti si chiedono tuttora come sia andato il contagio in Svezia. Vedo spesso condividere link schierati che descrivono il paese come un paradiso che è riuscito a contenere il virus nella totale libertà, altri che lo descrivono come un inferno dove il governo ha deciso di sacrificare la popolazione nel nome dell’economia. Cosa c’è di vero? Proviamo a rispondere!

  1. È riuscita la Svezia a contenere il virus senza lockdown? Se, per contenere, intendiamo il riuscire a fermare la crescita di casi e di persone decedute… , ci è riuscita. La curva dei decessi parla chiaro: dopo il grande picco iniziale, già da metà aprile i numeri sono andati scemando, fino a raggiungere le poche unità giornaliere.
    Numero di decessi per giorno. La linea in rosso indica la media calcolata sui sette giorni precedenti. Nota: I dati degli ultimi 15 giorni non sono affidabili.
  2. È riuscita a farlo in termini accettabili? Se parliamo di vite umane, in questo momento, dobbiamo dire di no. La Svezia ha avuto 5783 vittime. Le vicine Danimarca, Norvegia e Finlandia ne hanno avute, rispettivamente, 621, 261 e 333. Ciascuno di questi paesi, fra l’altro, ha circa la metà della popolazione della Svezia.
  3. Ma i conti si faranno alla fine, no? I conti si faranno alla fine, ma, in questo momento, con diversi vaccini in arrivo, e cure che sono molto  migliori rispetto a quelle di aprile, appare molto improbabile che i numeri degli altri paesi nordici possano ad avvicinarsi a quelli svedesi. E PER FORTUNA, aggiungo!
  4. Ma almeno si è raggiunta l’immunità di gregge? Se parliamo di risultati di test degli anticorpi, la risposta è no. Ad esempio, i test effettuati a Stoccolma nella trentaduesima settimana dell’anno dimostrano che, a Stoccolma, solo l’11,4% del campione aveva anticorpi. È Stoccolma, da questo punto di vista, è messa molto meglio di altre aree. Folkhälsomyndigheten afferma però che gli anticorpi verrebbero sviluppati solo dalle persone che hanno avuto sintomi meno lievi. Per gli altri, sempre secondo FHM, ci sarebbe un livello di immunità conferito dai linfociti T. Non ci sono però dati al riguardo.
  5. Ma, quindi, l’immunità di gregge è parte della strategia svedese? Ufficialmente, la risposta è sempre no. Negli ultimi giorni è però emersa una verità che da tempo era sospettata: il giornalista freelance Emanuel Karlsten è entrato in possesso di diversi scambi di email, che dimostrano come Tegnell abbia suggerito di tenere aperte le scuole per permettere il propagarsi del virus e raggiungere quindi l’immunità di gregge.
  6. Quindi non bisogna fidarsi delle autorità svedesi? Se quanto emerso in questi giorni verrà confermato, allora si potrà dire che Tegnell e i suoi hanno apertamente mentito a tutta la nazione. Ci sarebbero altri punti oscuri nella gestione dell’epidemia da parte di FHM, come un controverso contratto per Johan Giesecke. L’ex mentore di Tegnell, ora consulente in pensione e personaggio molto controverso per via della sua aperta superbia, avrebbe evitato di menzionare un possibile conflitto di interessi riguardante la moglie. Inoltre, la sua influenza sulle scelte effettuate sarebbe stata molto più alta di quanto lasciato ufficialmente intendere. Giesecke è una persona piena di superbia, il cui atteggiamento saccente ha provocato non pochi problemi e incidenti: degno di nota, in particolare, uno scambio di comunicazioni con il capo epidemiologo norvegese, in cui Giesecke ha scritto apertamente che la loro strategia era sbagliata. Infine, molte email interne riguardanti le scelte strategiche, sarebbero state cancellate, e non sarebbero quindi disponibili per una revisione della gestione della pandemia. Al momento, FHM non ne sta uscendo molto bene.
  7. Qual è la giustificazione per l’elevato numero di decessi? Secondo FHM la giustificazione principale è sempre da trovare nella pessima gestione delle case di riposo e dello scaricabarile fra differenti parti coinvolte (prima che lo stato prendesse il controllo in una realtà fortemente devoluta), ma ci sono anche altri fattori. In un’intervista televisiva Tegnell ha detto che, anche se la Svezia avesse applicato le misure norvegesi, non avrebbe probabilmente raggiunto gli stessi risultati, perché `”la popolazione svedese `ha una composizione differente rispetto a quella norvegese”. Il riferimento è probabilmente ad uno studio che avrebbe dimostrato come l’eccesso di mortalità svedese fra i nati in Europa e negli Stati Uniti è del -1% (leggi: è morta meno gente rispetto al solito), mentre per chi è nato in altri paesi del mondo sarebbe arrivata anche al 220%. La Svezia ha un numero di persone di origine straniera decisamente più alto rispetto a quello dei paesi circostanti, e gli immigrati vivono in condizioni peggiori, hanno meno accesso alle notizie, e hanno usanze sociali differenti. Bastano queste considerazioni a spiegare la differenza di cifre?
  8. Qual è l’approccio svedese sulla questione mascherine? Tegnell continua a dire che, anche se è provato che le mascherine rallentino il virus in laboratorio, non è dimostrato che ci sia un effetto positivo nell’utilizzo quotidiano da parte della popolazione. Comportamenti errati e senso di falso sicurezza, con diminuzione delle distanze, secondo lui, potrebbero rivelarsi anzi controproducenti. Negli ultimi giorni, dopo che gli altri paesi nordici hanno iniziato a imporre o raccomandarne l’uso in determinate circostanze, FHM ha detto di stare tenendo d’occhio la situazione. In giro non le porta nessuno, neanche in posti come ambulatori od ospedali. Sì, il personale medico non porta mascherine e, se lo fai tu, la gente ti guarda terrorizzata (pensano che tu sia il malato) o si mette a ridere. Noi continuiamo sulla nostra strada!
    Non sono ancora morto!
  9. E le scuole? Le scuole riaprono questa settimana, con solo accorgimenti minori. Aurora inizia fra pochi giorni, e c’è tanta amarezza: avrei voluto che il suo primo giorno di scuola non fosse ammantato da questo livello di ansietà, da questa sensazione di preoccupazione. Visto che io sto lavorando da casa e mia moglie è a casa anche lei, avremmo sicuramente preferito l’insegnamento a distanza: in questi mesi ci siamo tenuti distanziati piuttosto bene, ma ora questo muro sta per crollare per scelta non nostra.
  10. Che aspettative ci sono per l’autunno? Sicuramente c’è preoccupazione per un ritorno di fiamma del contagio, quindi restano tutte le raccomandazioni date fino a questo momento: non uscire in presenza di sintomi, lavarsi le mani, mantenere la distanza, lavorare da casa se possibile, utilizzare la bicicletta (o andare a piedi) come alternativa ai mezzi pubblici. Restano, nonostante le pressioni, tutte le restrizioni per aziende, ristoranti, ed eventi. Nelle ultime settimane si è notato un aumento dei contagi che ha riguardato soprattutto la fascia dei giovani adulti, che si incontrano e vanno a divertirsi a stretto contatto, fregandosene delle conseguenze. La paura (come in altri paesi) è che questi comportamenti irresponsabili riaccendano il contagio, soprattutto nei confronti dei familiari e di altre persone più anziane.
  11. Ma almeno l’economia è andata bene? Secondo il Financial Times, l’approccio leggero svedese ha pagato. L’economia della Svezia ha sofferto meno di quella dell’Eurozona. Ufficialmente, però, la salvaguardia dell’economia non è mai stata la motivazione per il mancato lockdown, cosa che FHM e ministri vari ci hanno sempre tenuto a ribadire anche in maniera molto seccata.

Sceneggiate

Premesso, sono da qualche decennio un lettore di Repubblica, un tempo della versione cartacea, poi di quella web. Sono anche da tempo abbonato pagante di REP.

Posso dire senza problemi che Repubblica è il primo giornale italiano che leggo quando ho un attimo di tempo, e quello che leggo più spesso.

Proprio per questo motivo, per il mio essere un affezionato cliente pagante, mi aspetto che il giornale che acquisto rispetti gli standard di quella che dovrebbe essere la missione sacra del giornalismo: la ricerca della Verità.

Nel caso della copertura della gestione svedese della crisi da covid-19, questa ricerca non c’è stata: sono stati pubblicati articoli che hanno disinformato, con notizie false e dati incorretti, e la sensazione di una totale mancanza di oggettività da parte di chi li ha scritti.

Probabilmente Repubblica non è stata la sola ad agire così: se me la sono presa con loro, e non con altri giornali, è perché quegli altri giornali li leggo molto meno spesso, e quindi noto meno certi errori.

Fatto sta, che la situazione non poteva non saltare all’occhio, ed ora ha iniziato a fare scalpore.

In Svezia, la giornalista Jennifer Wegerup ha attaccato su Expressen i servizi della stampa italiana, Repubblica e Corriere in primis. I due quotidiano vengono descritti, in generale, come esempi di buon giornalismo, ma non in questo caso specifico.

Voglio essere chiara, io non prendo posizione contro o a favore della linea svedese di questa crisi. Ce l’ho invece con il giornalismo di parte e menzognero.

In una prospettiva più grande è importante in questo momento il fatto che noi giornalisti dei media tradizionali abbiamo una responsabilità molto più grande. Dobbiamo avere un atteggiamento critico sì, ma obiettivo, in un’epoca in cui le bufale abbondano. E non si tratta più solo di agenti solitari, ma di forze più grandi che vogliono destabilizzarci e creare divisioni fra le nazioni.

L’atteggiamento di certa stampa è stato notato anche nello stivale da parte di Giap, che ha pubblicato un pezzo a titolo Gli eretici di Stoccolma. Come e perché la stampa italiana disinforma su Svezia e coronavirus. Se pure non mi sento di condividere con certezza le conclusioni finali, i fatti riportati sono comunque corretti.

Infine l’ambasciata. Sì, si è dovuta scomodare persino l’ambasciata di Svezia in Italia che ha dovuto critica Repubblica e Corriere con questo comunicato su Facebook:

Come l’ha presa l’eroe di Repubblica che ha scritto i pezzi incriminati?

Lo ha fatto attaccando la sua collega svedese (“filogovernativa”), l’ambasciata svedese (“verità ufficiali di odore sovietico”) e tutti gli italiani in Svezia che gli hanno fatto notare l’inaccuratezza dei suoi post (“non ebbi paura in prigioni comuniste a Praga nè a Bucarest sotto i cecchini della Securitate, voi e le verità ufficiali svedesi non mi fate paura”) e sempre ripetendo ad nauseam il mantra “Repubblica fa informazione, le parole di Löfven sono state riportate in maniera corretta”.

Talmente corretta, che, alla faccia del presunto “Mea Culpa” ieri Löfven ha ribadito il suo supporto alla strategia svedese: “sta tenendo”.

Di anziani e terapia intensiva negata

 

Ha fatto decisamente scalpore, negli ultimi giorni, la notizia per cui nella civile Svezia verrebbe negata la terapia intensiva agli anziani sopra gli ottanta anni e anche a quelli di età più bassa in caso di condizioni preesistenti.

Cosa c’è di vero?

Il documento che è circolato, pubblicato dal quotidiano Aftonbladet, è sicuramente un documento vero del Karolinska, e non è stato smentito da nessuno. Il documento parla chiaramente di distinzione in base all’età biologica (che non è quella anagrafica, ma questo è un altro discorso) e di condizioni significative preesistenti agli organi.

Indicazioni generali per la terapia intensiva:

  • Il paziente non si oppone alla terapia intensiva
  • La sopravvivenza e il recupero vengono giudicati probabili in relazione al livello funzionale abituale e la situazione complessiva di malattia
  • Assenza di un’altra malattia con aspettativa di vita più corta di 6-12 mesi
  • Età biologica inferiore ad 80 anni
  • Età biologica compresa fra i 70 e i 80 con compromissione significativa di al massimo un apparato di organi
  • Età biologica compresa fra i 60 e i 70 con compromissione significativa di al massimo due apparati di organi

Nel documento viene specificato cosa si intende per età biologica e che questa può essere quindi “più bassa o più alta di quella anagrafica”.
Il documento è basato sui principi della pubblicazione “Principi nazionali per la prioritarizzazione della terapia intensiva in situazioni straordinarie”.

 

Documento interno dell'ospedale universitario Karolinska
Il documento interno dell’ospedale universitario Karolinska

 

Riassumendo: ad un settantanovenne (facciamo finta che non ci sia differenza fra età biologica e anagrafica) in buone condizioni di salute ma con problemi al cuore, la terapia intensiva non deve essere negata. La stessa cosa ad un sessantanovenne con problemi a due apparati. 

La spiegazione del Karolinska è stata affidata ad un comunicato stampa:

Seguiamo le direttive nazionali e i principi di prioritarizzazione della terapia intensiva di Socialstyrensen. Non è l’età anagrafica ma quella biologica che conta nella scelta dei pazienti per la terapia intensiva. La prioritarizzazione medica parte sempre dalla prognosi che il paziente superi la terapia intensiva e si riprenda. Non dobbiamo sottoporre i pazienti ad una terapia molto dura se la prognosi non motivi la cosa.

Il documento è stato rilasciato negli ultimi giorni, quindi all’acuirsi della situazione, ma quasi sicuramente linee simili sono state seguite sin dall’inizio. Il dubbio l’avevo avuto già il 24 marzo leggendo un articolo del Dagens Nyheter.

Dal dn.se

L’età media delle 136 persone che finora sono state trattate in un reparto di terapia intensiva è di 63 anni. (…)

Una ragione per il fatto che l’età media è relativamente bassa è che molti anziani e molte persone con più malattie hanno difficoltà a superare la terapia intensiva.

Degli svedesi che sono morti di covid-19, una grande maggioranza non è mai passata per la terapia intensiva. Secondo il registro svedese della terapia intensiva, due persone trattate in terapia intensive sono morte, ma le statistiche non sono aggiornate e il numero esatto sarà probabilmente fornito nei prossimi giorni.

Quindi, la giustificazione che viene fornita è quella di volere evitare un accanimento terapeutico su persone che si ritiene non essere in grado di cavarsela.

In un commento sulla pagina Facebook collegata a questo blog, Francesco di Un Infermiere in Svezia mi ha confermato che il protocollo è stato applicato sin dall’inizio:

Francesco Vaccarezza

D’altronde, sia come detto da Francesco, sia come confermatomi da fonti interne affidabili, anche in Italia, almeno in determinati momenti e determinate località, si sono applicate linee guida simili (e sia chiaro che non mi interessa fare polemica al riguardo: se avete informazioni diverse mi va benissimo).

Infine, possiamo dare un’occhiata ai numeri forniti dal sito platz.se: possiamo così vedere che, almeno una piccola percentuale di ultraottantenni ha effettivamente ricevuto cure intensive. Se questa percentuale sia, dal punto di vista medico ed etico, giusta o troppo piccola, non sta a me giudicarlo. Ancora una volta mi sono limitato a riportare i fatti di cui sono a conoscenza, senza considerazioni personali sul merito.

platzse


img_6919AGGIORNAMENTO: Mi hanno passato un link in cui, effettivamente, si spiega che la situazione è cambiata nelle ultime settimane.
In pratica si spiega che, nonostante ci siano posti disponibili in terapia intensiva, si è deciso di dare un giro di vite in termini più restrittivi, per essere pronti al peggio.

Un paio di estratti:

In precedenza mettevano senza pensarci troppo gli ottantenni in terapia intensiva e ora abbiamo smesso. Un paziente ottantenne con il covid-19 non trae beneficio dalla terapia intensiva. Cinque settimane fa, più persone avrebbero ricevuto la terapia intensiva, se abbiamo stretto troppo lo vedremo a posteriori. 
Questo in pratica significa che una persona che ha 80 anni con remote probabilità, ma comunque pur sempre qualcuna, di sopravvivere ad un trattamento, non lo riceve più nonostante ci siano posti disponibili. (Johan Styrud, presidente dell’associazione dei medici di Stoccolma)


Ci sono pazienti che avrebbero ricevuto il trattamento in precedenza, ma che non lo ricevono ora?

Non sono in grado di rispondere a questo, ma è chiaro che siamo costretti a giudicare in maniera più precisa la possibilità che il paziente possa trarre giovamento dal trattamento. Questo ha anche a che vedere con il fatto che se uno ha il covid-19 ad un’età più avanzata ed ha altre condizioni precedenti, la probabilità di sopravvivere bassa, come evidenziato da studi internazionali. E a quel punto si rischia di avere ridotto le possibilità di qualcun altro. Prima del virus avevamo maggiore spazio di manovra: potevamo avviare un breve ciclo di terapia e attendere una reazione, ma ora non abbiamo più le stesse possibilità. (Björn Persson, responsabile del reparto di terapia intensiva all’ospedale universitario Karolinska)

La disinformazione di Repubblica

Scrive Andrea Tarquini su Repubblica:

CLAMOROSA e vergognosamente tardiva autocritica del premier svedese, il socialdemocratico Stefan Löfven, sull’emergenza coronavirus. “Non abbiamo fatto abbastanza”, ha detto il capo del governo della potenza egemone del Grande Nord all’emittente Svt.

Beh, o Andrea Tarquini utilizza un traduttore automatico o scrive volontariamente delle falsità.

Stefan Löfven ha detto tutt’altro:

“Beredskapen har inte varit tillräckligt bra”

Ovvero: ha detto che la Svezia non era sufficientemente preparata (dal punto di vista delle leggi, dei processi e delle risorse) ad affrontare grandi crisi. Crisi di qualunque tipo, e non necessariamente questa nello specifico.

Ha anche detto che il governo ha quindi dovuto iniziare un percorso per essere più pronti nel futuro, in termini di leggi, protezione civile e difesa totale, ed è soddisfatto del fatto che si stia trovando un largo consenso politico per lavorare a questo percorso.

Nessun “mea culpa”, di “clamoroso e vergognoso” c’è solo la falsità e la cialtroneria di certa informazione.


Aggiornamento:

In un mondo ideale, un giornalista che venga corretto da chi ne sa più di lui su un argomento, farebbe, lui sì, un mea culpa e pubblicherebbe una smentita.

Il signor Andrea Tarquini non accetta invece le critiche al suo articolo che sono arrivate da diversi italiani in Svezia e da svedesi. Critiche nel merito della traduzione e dei dati forniti.

Ecco i commenti su Twitter:

Ed ecco le meravigliose risposte:

Notare le due chicche:

  1. Lui l’ha letto su qualche agenzia di stampa è quindi è sicuramente vero. Sono “menzogne” quelle di chi, sapendo lo svedese, gli dice che la traduzione è sbagliata. Perché le agenzia sono infallibili e, ovviamente, un giornalista non deve andare a verificare alla fonte.
  2. Le minacce al direttore. DOVE CAVOLO SONO LE MINACCE AL DIRETTORE? Cos’è questo vittimismo da due soldi, in un contesto in cui non c’entra nulla? Chi, in questo post, o nei commenti su Twitter ha minacciato il direttore?

Se poi ce la si prende con chi dice che c’è o incompetenza o malafede (un sospetto in tal senso viene dal chiaro bias del tono dell’articolo, ma possiamo soprassedere): impari a fare il suo lavoro! Vada alle fonti, non si limiti a copincollare, faccia le necessarie verifiche, e non mischi fatti ed opinioni personali. Se non fa così, l’unico a dire menzogne è lei.

Covid-19: ricapitolando

Dato che mi si chiede continuamente lo stato della situazione coronavirus in Svezia, cerco di fare un riassunto della situazione. Mi limiterò a riportare i fatti per come sono riportati, senza considerazioni di merito sulle dichiarazioni e le scelte del governo e di Folkhälsomyndigheten (d’ora in poi, FHM). Questo perché, come detto in precedenza, non ho le competenze per esprimere giudizi.

Ricapitolando:

  • SÌ: è vero che in Svezia non ci sono grandi restrizioni. Le scuole e i ristoranti sono aperti. E anche le aziende, quantomeno quelle che non sono andate in difficoltà.
  • NO: non è vero che tutto è come prima. Ci sono comunque delle micro-restrizioni. Gli eventi pubblici con più di 50 persone sono proibiti. I ristoranti possono solo servire al tavolo e assicurandosi che le distanze siano mantenute. A partire da ieri, il governo si riserva la possibilità di fare chiudere i ristoranti che non rispetteranno le regole.
  • NO: non è vero che non c’è un impatto economico. I consumi non essenziali sono crollati, molte aziende hanno visto i propri ricavi crollati e tanti lavoratori sono rimasti a casa. Lo stato ha dovuto preparare delle misure per permettere di lavorare con orario ridotto, prendendosi carico esso stesso di gran parte della differenza di salario.
  • SÌ: è vero che non ci sono restrizioni personali sulle persone. FHM non ha nulla in contrario al fatto che la gente esca di casa, anzi incoraggia la cosa in determinati casi (“se ci si deve incontrare e stare in compagnia è meglio farlo all’aperto, a patto di mantenere le distanze”). Si chiede agli anziani e alle persone a rischio a restare a casa, e si chiede di evitare di andare in vacanza. Chi può lavorare da casa deve farlo. Non sono obblighi ma, secondo il governo, neanche semplici consigli: sono doveri civili.
  • SÌ: è vero che si fanno pochissimi tamponi. FHM continua ad insistere che il rischio di essere contagiati da persone senza sintomi, pur presente, è relativamente basso, quindi si limita a chiedere alle persone che hanno sintomi di stare a casa fino a un paio giorni dopo la fine degli stessi.
  • NÌ: è solo parzialmente vero che la gente faccia finta di niente. È vero che molti ignorano le raccomandazioni del governo, ma è anche vero che molti le seguono. Il governo e FHM sono abbastanza soddisfatti del comportamento della popolazione, anche se sicuramente non apprezzano chi non rispetta le raccomandazioni. Ci sono probabilmente grandi differenze fra le zone ad alto contagio (soprattutto Stoccolma) e quelle al momento meno coinvolte.
  • SÌ: si è valutata l’opzione di impedire la possibilità di uscire dalla contea di Stoccolma durante i periodi di vacanza (come Pasqua), per evitare che le persone che abitano nel focolaio più grande di Svezia possano andare in giro per il paese a diffondere il virus. Sì è scelto comunque di non proibire nulla, almeno per Pasqua. Resta l’indicazione del governo di non muoversi, intesa come dovere civico. Nelle località turistiche preferite dagli Stoccolmesi i cittadini si sono divisi fra chi “restate a casa, non vi vogliamo” e chi “venite comunque, che se no andiamo in difficoltà”. Non saprei dire in che percentuali.
  • SÌ: è vero che quasi nessuno indossa la mascherina. FHM continua a dire che i vantaggi sono minimi e che sia meglio lasciare la mascherine alla sanità e agli operatori delle case di riposo, che altrimenti rischiano di restare senza. Restano sempre le raccomandazioni di lavarsi le mani e non uscire se si hanno sintomi.
  • SÌ: al supermercato non sembra essere cambiato granché. Il governo chiede ai gestori di assicurarsi che non entrino troppe persone e che si mantengano le distanze in prossimità delle casse (in genere, le code qui sono sempre state minime). Tantissimi, comunque, si fanno recapitare la spesa a casa: dalle mie parti, prima della crisi, si poteva ordinare una consegna per il giorno dopo, ora capita di dovere aspettare una settimana o più.
  • SÌ: le scuole sono aperte, e c’è una seria possibilità che continuino a restarlo. Secondo FHM, questo sistema farà meno danni sulla lunga distanza, mentre i paesi che chiuderanno le scuole per riaprirle più avanti rischiano di avere conseguenze più gravi quando questo avverrà. (EDIT: mi è stato giustamente fatto notare che ho dimenticato di dire che le scuole superiori e le università, quantomeno per la parte di insegnamento, sono chiuse e procedono con corsi a distanza).
  • SÌ: c’era anche il problema che, lasciando a casa i bambini, i genitori impiegati in professioni necessarie (sanità, ma non solo) avrebbero avuto il diritto di restare a casa a loro volta. Il governo ha preparato la strada per un’eventuale, possibile, chiusura, con soluzioni alternative per chi è impiegato in quelle professioni. Ma la chiusura resta comunque solo una possibilità.
  • SÌ: i bambini di famiglie diverse di incontrano e giocano assieme senza problemi. Sono abituati a farlo a scuola, quindi non fanno differenza al di fuori della stessa.
  • SÌ: ci sono comunque genitori (non so dire in che percentuale) che hanno deciso di tenere a casa da scuola i bambini, con il rischio di andare in contro a parte a sanzioni. Perché se le scuole sono aperte e i bambini non sono malati è proibito tenerli a casa.
  • NO: nonostante quello che vi dicono alcuni giornali, il governo svedese non ha “cambiato idea”, o non sta per farlo. Sin dall’inizio, FHM ha detto che un’epidemia ha fasi differenti che richiedono misure differenti, che andranno valutate di volta in volta. Se e quando implementeranno misure più strette lo faranno perché riterranno che l’epidemia avrà raggiunto una fase che richieda queste misure.
  • SÌ: il governo ha chiesto alle opposizioni (con cui doveva trovare l’accordo, essendo un governo di minoranza) poteri più grandi per avere la possibilità di agire velocemente quando necessario. L’accordo è stato trovato e, per tre mesi, il governo potrà emanare direttive esecutive prima di discuterle in parlamento. Non si tratterà di leggi, ma di opzioni come chiudere specifici centri commerciali o punti d’incontro, proibire i raduni di persone, consentire limitazioni alle libertà, favorire l’acquisto di materiali di protezione e medicine. Si dovrà trattate solo di opzioni mirate e a tempo determinato e, fra tre mesi, il parlamento dovrà decidere se prolungare queste deleghe.
  • SÌ: l’opposizione di centrodestra si sta comportando in maniera molto responsabile. Ha sicuramente le sue proposte economico-sociali, ma ha un approccio costruttivo nei confronti del governo e di FHM, e i suoi rappresentanti principali non vanno starnazzando in giro sui media per cercare di attirare l’attenzione.
  • NO: il governo non sta “facendo finta di nulla” per permettere che l’economia non crolli. FHM sta gestendo la crisi secondo modelli che loro ritengono essere scientifici. Sono modelli basati su un’analisi della società svedese e su esperienze pregresse (come l’epidemia spagnola). Ritengono che l’approccio svedese possa, sì, risentire di un impatto maggiore nella prima fase, ma mitigare gli effetti della pandemia sulla distanza.
  • SÌ: la comunità scientifica svedese è divisa fra chi appoggia il piano di FHM e fra chi lo contesta pubblicamente. Non ho idea dei numeri, ma l’impressione non verificata è che i primi siano decisamente più dei secondi.
  • NO: non si parla di immunità di gregge. FHM ritiene che sarebbe disastroso cercare di arrivare a quel 60/70% di contagiati che rappresenterebbe il presupposto di questa immunità. Affermano invece di fare di tutto per evitare che il contagio si diffonda velocemente, abbattendo la curva dello stesso. Solo che vogliono farlo con misure che siano sostenibili per la popolazione. Anche se non detto apertamente, c’è sicuramente la paura che un lockdown porti ad un aumento esponenziale di casi di alcolismo e suicidio: quando, negli anni ‘90, ci furono licenziamenti di massa, queste casistiche esplosero. Inoltre c’è sempre il rischio che, ad un certo punto, sempre più gente inizi a violare le restrizioni. Si cerca quindi l’approccio opposto: convincere sempre più gente a restare a casa.
  • No: FHM non è Anders Tegnell. Anche se l’epidemiologo di stato è la persona più in vista, e l’uomo “immagine”, quelli dell’ente ci assicurano di essere una squadra di scienziati che lavora assieme nel prendere le decisioni. Visto il modello orizzontale tipico del lavoro in Svezia, non mi sento di contraddire questa affermazione.
  • SÌ: al momento i numeri sono molto peggiori, ad esempio, di quelli della vicina Norvegia, che invece ha adottato misure di quarantena. FHM afferma che, analizzando i dati in loro possesso, la differenza più grande fra i due paesi sembra essere nei decessi fra i residenti delle case di riposo. Soprattutto a Stoccolma, queste si sono rivelate essere essere delle bombe ad orologeria, dove, una volta entrato il virus, ha iniziato a fare stragi. Per ammissione di Tegnell, non si sa cosa abbia funzionato meglio in Norvegia al riguardo, e stanno cercando di capirlo.
  • NO: la situazione globale dei morti non è, in proporzione, peggiore che in Italia. Mettendo a confronto i decessi dal primo rispettivo giorno (quantomeno secondo i dati ufficiali dell’ECDC) si vede che, nei periodi equivalenti, la Svezia ha numeri leggermente migliori. Siamo nel trentesimo giorno dal primo decesso e siamo attualmente a quota 793 decessi, corrispondenti a 4739 con la popolazione rapportata a quella italiana. Nello stesso periodo, in Italia, ci sono stati 5476 decessi. L’andamento è comunque molto simile, ed è da vedere se, in mancanza di misure restrittive, questo rapporto si confermerà o meno.
    Rapporto decessi Italia-Svezia
    (EDIT: l’amico Emanuele, che ringrazio, mi ha fatto notare che, utilizzando i numeri dei ministeri anziché quelli dell’ECDC, c’è un leggero sfasamento delle curve, per cui la situazione sarebbe lievemente peggiore in Svezia. Il discorso non cambia più di tanto: gli andamenti restano comunque molto simili. Avevo visto girare curve decisamente più sballate che mostravano una situazione decisamente peggiore per la Svezia. Al momento non è così).
  • SÌ: anche nella Contea di Stoccolma ci sono grosse differenze di numeri, a seconda delle differenti aree: si è notato che le cifre sono molto peggiori nelle aree in cui vivono cittadini di origine extracomunitaria, come Rinkeby. In particolare, ci sono stati parecchi decessi nella comunità somalo-svedese. Si ritiene che la cosa sia dovuta alle differenti condizioni e usanze sociali, sia al fatto che la gran parte della comunicazione sia stata effettuata, da principio, in lingua svedese.
  • SÌ: FHM vede qualcosa di positivo nella situazione attuale. Affermano che la crescita sarebbe al momento stabile e non esponenziale; si ritiene, quindi, che si stia riuscendo a tenere la situazione sotto controllo. In particolare, la curva dei nuovi contagi avrebbe negli ultimi giorni raggiunto un plateau, e questo fa loro ritenere che il sistema sanitario riuscirà a reggere l’impatto della crisi. Chi vivrà (letteralmente) vedrà.

 

Spero che questo aiuti a chiarire molte idee su quello che sta succedendo qui.
Già che ci sono, ne approfitto per riportare alcune interviste che ho fatto in questo periodo, per chi abbia voglia di perdere tempo a vedere la mia brutta faccia:

Patrimonio Italiano TV – 5 Marzo


Casabresi (Mario Calabresi) – 29 Marzo

 

Radio Cusano TV – 3 Aprile

 

Onda TV – 8 Aprile

La scienza non è democratica

Ho alzato bandiera bianca.

Sono stato uno dei più accesi detrattori delle scelte (o mancanza di) del governo svedese o delle dichiarazioni dell’epidemiologo di stato Anders Tegnell nei primi giorni della crisi. Mi sono iscritto a gruppi di Facebook in cui si chiedeva il siluramento di Tegnell. Ho anche aiutato mia moglie a mettere in piedi una petizione a Stefan Löfven perché si convincesse a mettere il paese in quarantena proattiva.

Mi sono infervorato in discussioni sui social network con amici e conoscenti, tutta gente che, in buona fede come me, cercava di portare il suo piccolo contributo alla discussione, se non a cercare di risolvere la situazione.

Ho visto gente incazzata col mondo, frustrata e terrorizzata. Tutte reazioni comprensibili, e posso dirlo senza ipocrisie, dato che erano a tutti gli effetti identiche alle mie.

Se anche qui c’è una fetta importante della popolazione, guidata dal direttore del quotidiano Dagens Nyheter Peter Wolodarski e da una parte importante della comunità scientifica, che non condivide le scelte effettuate, nell’infuriare della discussione, un contributo in particolare mi ha aperto gli occhi.

Si è trattato di un’intervista alla nota batteriologa Agnes Wold che, criticando la massa di influencer che attaccavano Tegnell e il governo, ha usato parole del tipo: “Bisogna stare a sentire chi queste cose le ha studiate” e “è assurdo che certe pressioni arrivino da gente che, probabilmente, non conosce la differenza fra un virus e un batterio”. Una variazione soft di quel mantra “la scienza non è democratica” che è un caposaldo del mio modo di pensare.

E a quel punto ho capito che dovevo stare zitto.

Perché, in fondo, cosa so io di come si combatte una pandemia? Niente, zero, ingenting, rien, nada, nothing.

Certo, posso cercare di informarmi, leggere e condividere le informazioni degli studiosi che la pensano come me, o le raccomandazioni dell’OMS. Ma, alla fine, si tratterebbe, da parte mia, di un puro e semplice ricorso all’autorità, che è sempre una fallacia logica se usata per contestare qualcuno che ne sa più di me su un argomento. Il governo svedese ha scelto di mettersi totalmente nelle mani degli scienziati che fanno parte di Folkhälsomyndigheten (equivalente del nostro Istituto Superiore di Sanità), e la realtà è che io non ho alle spalle studi o le conoscenze che mi permettano di contestare le loro scelte e decisioni. Se non, eventualmente, a posteriori.

Perché la scienza non è democratica.

Sia chiaro: continuo ad informarmi, seppure con una frequenza giornaliera ridotta rispetto a prima, quando mi ero praticamente esposto a un flusso continuo di notizie in tre, se non più, lingue. Continuo a farmi le mie idee. Ma mi sono chiamato fuori da ogni discussione sull’argomento coronavirus. Ho ridotto la mia partecipazione sui social network del 90%, cosa che è solo positiva per il mio morale: fondamentalmente mi sto limitando a partecipare a una manciata di gruppi in cui si parli di cose attinenti ai miei interessi (musica, storia urbanistica di Genova). Gruppi di evasione.

Perché non ne potevo più di essere uno di quelli costantemente incazzati col mondo, frustrati e terrorizzati. Ora leggo più libri, ascolto più musica e mi godo di più la vita nell’autoimposta quarantena.

A questo punto potremo solo attendere e vedere cosa succederà e capire se il governo e quelli di Folkhälsomyndigheten passeranno alla storia come geni assoluti o folli irresponsabili. Temo la seconda, posso solo sperare nella prima.

La vita in Svezia ai tempi del Coronavirus

Mi si chiede “e lì la situazione com’è?”, e sinceramente non ho una risposta semplice.
Il motivo è che la situazione non è ancora drammatica, ma che probabilmente lo diventerà anche per la lentezza del governo e delle istituzioni svedesi nel capire la gravità del problema.

Non si capisce se ci sia una grande arroganza da parte di chi gestisce la sanità svedese (e sia chiaro che non ne sono un grande detrattore, a differenza di buona parte dei connazionali che vivono qui) nell’affrontare la situazione, o se si stia cercando di limitare il panico dando spiegazioni troppo rassicuranti per essere credibili a chi ha informazioni costanti su quello che succede da altre parti. L’ipotesi è che comunque siamo nel primo caso.
E a dare manforte a questa ipotesi, mentre da diverso tempo il governo ci assicura che la Svezia è assolutamente in grado di affrontare l’emergenza, diversi virologi ed esperti ci dicono che non è così (ecco un paio di post sull’argomento per chi si voglia cimentare con un traduttore automatico:  1 e 2).


Una figura molto controversa in questi giorni è quella di Anders Tegnell, l’epidemiologo di stato (titolo ufficiale) della Folkhälsomyndigheten (Autorità della salute pubblica): Tegnell prima ha banalizzato il problema, poi si è lasciato andare a dichiarazioni contradditorie che hanno generano solo confusione.
Personalmente sono rimasto estremamente perplesso, a leggere giovedì sera un’intervista sul Dagens Nyheter  (diciamo l’equivalente svedese del Corriere Della Sera), in cui diceva che il numero di casi di coronavirus in Svezia poteva aveva raggiunto il culmine e che presto ci sarebbe stato un calo della quantità di svedesi infettati. La mattina dopo la notizia era stata corretta con “numero di casi di importazione” e di “svedesi infettati all’estero”. Ora, non so sinceramente dire se la confusione sia stata generata dal quotidiano o dall’epidemiologo, ma, in ogni caso, anche la seconda versione è molto dubbia.

Ieri sera, Tegnell ha ammesso di essere stato “un po’ troppo ottimista”, e che il calo arriverà invece lunedì (oggi) o martedi. Vedremo.

Se la Folkhälsomyndigheten è un ente non politico, la parte puramente politica non sembra essere molto meglio.
Ancora il 3 marzo, il ministro degli affari sociali Lena Hallengren diceva in un’intervista che non sarebbero stati fatti investimenti particolari per aumentare le risorse necessarie ad affrontare l’emergenza: “non ci sono più ore di lavoro, più personale e più posti di quelli che abbiamo”. In pratica l’intenzione era solo quella di riallocare le risorse esistenti, riducendo, ad esempio, le operazioni non necessarie. Nel resto del mondo si costruiscono ospedali, si allestiscono postazioni di emergenza, si fanno assunzioni di massa e la Svezia, che è il paese EU con il minor numero di posti d’ospedale percentuali e ha già grosse difficoltà a gestire l’ordinario, pensa di riuscire a cavarsela con quello che si ha. Per capirci: ci sono 2.2 posti letto per mille abitanti, contro i 3.18 dell’Italia e gli 8 della Germania (fonte: OECD per via di Expressen).
Anche in una conferenza stampa del governo (il cui link non riesco più a trovare), si diceva, in pratica “abbiamo sentito le regioni (qui la sanità è in gran parte devoluta) e sappiamo di essere pronti a gestire l’emergenza”.

Negli ultimi giorni pare che sia leggermente mutato l’atteggiamento, ma non ne ho ancora la certezza, visto che non ci sono ancora grandi dichiarazioni sull’argomento.

I casi finora registrati sono relativamente pochi (203 e nessun morto a ieri), ma c’è da dire che, fino ancora a pochi giorni fa, ottenere un tampone era molto difficile: bisognava essere stati in una delle zone del mondo più interessate dal problema (o in contatto non occasionale con una persona che lo avesse fatto) avere sintomi acuti. Anche così, a quanto pare, molte persone sono state rimbalzate quando hanno contattato il numero sanitario nazionale 1177. Da qualche giorno, si dice che tutte le persone con polmonite verranno testate, ma in generale pare che ci sia una certa discrepanza fra quello che viene detto e quello che viene effettivamente fatto.
Per ora, la maggior parte della prevenzione si è basata sul tracciare i contatti e i percorsi delle persone che si sono rilevate positive. Basterà?

Anche a livello di iniziative volte a prevenire i contatti sociali, non ho visto queste grandi iniziative. Qualche scuola è stata chiusa, ma non molto più che questo. Ha fatto un po’ di scalpore il fatto che si sia deciso di tenere la finale del Melodifestival di fronte al numeroso pubblico della Friends Arena, mentre nella vicina Danimarca si è optato, per la manifestazione equivalente, per le porte chiuse. Come ha scritto l’opinionista del DN Peter Wolodarski, “La Danimarca non rischia e annulla tutti i grandi eventi pubblici. Ma in Svezia sembra che crediamo che al virus importi se siamo gentili gli uni con gli altri ed evitiamo di tossire. Ci ritroviamo tutti nonostante tutto alla Friends Arena.”

Se poi volete chiedere a me cosa pensa “la gente” della situazione, cascate male: sto lavorando da casa il più possibile e cercare di limitare al massimo i contatti sociali e facendo anche la spesa a domicilio. Quindi non so dire se i centri commerciali siano pieni, o quanta gente ci sia generalmente in giro.

Certo, qualcosa si può dire: la Svezia ha una densità molto bassa e qui siamo più abituati a mantenere le distanze da chi ci sta attorno e a seguire le direttive governative, quindi c’è una possibilità che il virus si diffonda meno che da altre parti. Ma l’impressione che stiamo per prendere una grande, enorme facciata, c’è, e non è esattamente rassicurante. Mandateci un bell’i vargens mun!

 

Di scorte alimentari e periodi di crisi

Da queste parti è una raccomandazione ufficiale del governo quella di avere scorte di cibo non deperibile (e altre cose di prima necessità), in caso di “guerra o crisi improvvisa”.

Le raccomandazioni per cibo e acqua (in inglese)

A maggio 2018 il governo ha infatti ripreso un’abitudine che aveva sospeso con la fine della guerra fredda, quella di fare circolare un opuscolo a titolo Om kriget kommer (“Se arriva la guerra”) che conteneva informazioni su cosa fare per essere pronti in caso di necessità improvvisa.

Pur essendo incentrata comunque sull’aspetto della difesa militare, la versione del 2018 è stata ribattezzata Om krisen eller kriget kommer per aggiungere anche il riferimento a crisi improvvise di altro tipo.

L’opuscolo è scaricabile online in diverse lingue (a partire da, ovviamente, svedese e inglese).

Erano appunto dal maggio 2018 che continuavo a pensarci e rimandare. Ora, finalmente, ho provveduto. A Genova ci piace dire maniman

Leggendo delle polemiche su quello che succede in Italia, in tutta sincerità, non mi sento scemo per averlo fatto. Mi sento scemo per non averlo fatto fino ad ora.

Chiudono i negozi

In Svezia la crisi si sente certamente meno che da altre parti, ma non mancano comunque problemi anche qua.
A Malmö, chi sta soffrendo particolarmente sono i piccoli esercenti delle zone centrali. Se le grandi strade dello shopping e del turismo, come Södra Förstadsgatan o Södergatan sembrano comunque tenere (ma anche un gigante come Pizza Hut si è dovuto spostare per via dei costi troppo elevati), nelle aree immediatamente adiacenti, da Baltzarsgatan a Triangeln passando per Davidshall, c’è una discreta moria di negozi che chiudono offrendo tutto a prezzi di saldo.
Se già prima la situazione non era brillantissima, l’apertura di Emporia ha dato la mazzata definitiva: il posto è una vera e propria città nella città, e gli abitanti di Malmö preferiscono passare il loro tempo lì piuttosto che nelle zone tradizionali dello shopping.
Ecco quindi che molti negozi chiudono, altri provano a spostarsi in cerca di fortuna, sperando magari di avere abbastanza passaggio e prezzi non proibitivi.
Uno dei problemi, peraltro, è che in molti casi ci sono contratti di affitto che vanno onorati, e non basta chiudere la società per liberarsene: fino a che non si trova una società disposta subentrare (e questa società deve essere comunque approvata dall’affittuario), non ci si libera del contratto.

Probabilmente, per chi vuole avere un’attività, oggi è decisamente più consigliato aprire all’interno di uno dei vari köpcentra, anche a costo di adattarsi alle loro regole ed esigenze. Meno indipendenza, costi più elevati, ma decisamente più gente di passaggio.
Noi, da parte nostra, ci siamo dovuti arrendere, e porre fine all’avventura della boutique di mia moglie: nonostante la zona centrale, letteralmente a pochi passi da Södra Förstadsgatan e nonostante una serie di recensioni entusiaste, non c’è mai stato il passaggio sufficiente a garantire i giusti introiti. E, dopo Emporia, le cose non sono certo migliorate.
Anche il Consolato Italiano, che ospitavamo gratis, si è dovuto spostare in altra sistemazione…
Adesso bisogna ricominciare, e per mia moglie si apriranno le strade della ricerca di un posto di lavoro. Non prima di un annetto e mezzo, però, dato che abbiamo importanti novità familiari in arrivo. Sarà dura, ma ce la faremo… 😀

Försäkringskassan: la “mutua” svedese

Ieri, grazie ad un post della fattaturchina, mi sono ricordato di inviare la documentazione per l’iscrizione all’assicurazione sanitaria nazionale, Försäkringskassan.

L’ente in questione è quanto ci sia di più odiato dalla popolazione svedese: famoso per gli incredibili ritardi (anche fino a sei mesi, se non oltre) con cui avvengono i rimborsi per i periodi di assenza dal lavoro, per la pedantezza burocratica, per alcune scelte discutibili che hanno portato all’annullamento dei benefit per persone gravemente malate (un esempio).

E le cose non sono certo migliorate, anzi, con la crisi finanziaria degli ultimi anni (a proposito: il colosso bancario Nordea ha dichiarato la crisi ufficialmente conclusa in Svezia!) e con le scelte del governo di centrodestra che, all’insegna del contenimento dei costi, ha spinto la Försäkringskassan ad essere ancora più stretta e lenta.

Gli organi di informazione si occupano spesso dei momenti di tensione che conseguono da queste situazioni, raccontando delle minacce (spesso anche gravi) che arrivano agli impiegati della kassa o raccontando delle disavventure dei disgraziati che si vedono rifiutare supporto economico.

Da alcuni punti di vista, queste cose funzionano meglio in Italia. Nello Stivale, chi si assenta dal lavoro per qualche mese causa malattia si vede comunque arrivare lo stipendio regolarmente e non deve aspettare a lungo, sempre con l’incertezza di poter veramente vedere i soldi che gli spettano (perché il burocrate del giorno potrebbe decidere che il certificato rilasciato parecchi mesi fa dal medico non è chiaro e completo, o che il medico stesso ha commesso un errore nel valutare il tempo per cui il degente avrebbe avuto diritto al rimborso sanitario).

D’altronde è pur sempre vero che qui c’è (ancora) uno stato sociale reale, e le coperture che ti vengono garantite sono molto maggiori di quelle che puoi ottenere in Italia.

E molti svedesi, bisogna dirlo, ne hanno approfittato. Fino a qualche anno fa (non so come sia la situazione adesso) era una delle nazioni, se non la nazione, con il più alto di numero di assenze per malattia annue pro capite. La cosa è favorita anche dal fatto che te ne puoi stare a casa quando vuoi dichiarandoti malato senza certificato per sette giorni: il primo non ti sarà pagato, per i restanti avrai comunque diritto all’80% dello stipendio.

C’è anche da dire che, qui, non è facilissimo andare dal dottore: scordatevi le visite a casa, spesso bisogna prenotare le visite anche con 3 giorni  lavorativi di anticipo (l’alternativa per le urgenze resta, ovviamente, il pronto soccorso). Non esiste, inoltre, quantomeno dalle mie parti, il dottore personale: il cittadino si affida ad un centro medico a sua scelta e può trovare, di volta in volta, una persona differente ad occuparsi di lui. C’è da dire che, generalmente, tutto viene trascritto puntigliosamente sulla cartella clinica, e che questi dati vengono trasferiti ad altro centro nel caso la persona decida di affidarsi ad altri. E questo è, tutto sommato, un sistema che funziona abbastanza bene!