Una delle prime cose che impari appena arrivato in Svezia…

Avanti il prossimo!
Avanti il prossimo!
… è che, alla cassa del supermercato, devi mettere TU la barretta separatrice per il cliente che è in coda dopo di te. In Italia non ci avevo mai fatto troppo caso, è, generalmente, ho sempre dovuto mettere quella per me stesso. Dopo un paio di occhiatacce da parte di chi ha dovuto mettersela da solo (nessuno che ti dica apertamente che sei un maleducato), nel 2009, ho capito in fretta la situazione, e ho iniziato a farlo. Oggi, a distanza di qualche anno, sono io quello che tira le occhiatacce a chi viene prima di me e non lo fa. Poi ripenso al Daniele del 2009 e mi metto a ridere con me stesso (e se qualcuno chiede scusa, sorrido e dico “ingen fara”). Svedesisazzione in corso. 😀

E non vi dico la rabbia che mi monta in Italia al supermercato. 😛

La posta di Natale

In un mondo sempre più dominato dalla messaggistica in rete, dove persino le buone vecchie email stanno diventando obsolete, c’è una cosa che agli svedesi piace ancora fare: inviare auguri e ringraziamenti tramite posta ordinaria.
Fermo restando che qui le vecchie lettere si usano ancora per molte funzioni burocratiche (ad esempio, ti mandano moduli a casa in posta con una busta preaffrancata da rispedire indietro… tutto tramite posta ordinaria), quella di spedire kort è una vera e propria passione nazionale.

Natale è ovviamente un momento critico: Posten (un’azienda puramente statale, di proprietà congiunta suedo-danese) lo sa bene e organizza da sempre una sorta di canale parallelo per la posta augurale.
In questo periodo vengono infatti messi a disposizione gli julfrimärke, francobolli a costo leggermente ridotto che garantiscono una consegna pre-natalizia, quantomeno se le imbuchi prima della data ultima garantita (che quest’anno è il 16 dicembre). Se spedisci dopo quella data, e vuoi avere la certezza della consegna, devi invece usare la posta ordinaria, leggermente più costosa (7 corone contro le 6,5 del francobollo natalizio) ma più veloce.
Ma anche l’operazione di imbucatura evidenzia l’organizzazione messa in atto da Posten: a fianco delle normali cassette della posta, di colore giallo, ne vengono installate altre di colore rosso espressamente dedicate alla posta natalizia.
Questo permette, appunto, di tenere in piedi il canale parallelo: la posta natalizia viene smistata da personale separato, spesso in sezioni speciali di alcuni uffici postali, non andando quindi ad ingolfare il traffico della, generalmente più urgente, posta ordinaria.

Quest’anno ci siamo uniti alla tradizione, contribuendo quindi alle decine (centinaia?) di migliaia di foto di bambini in costume da jultomte che viaggiano per il territorio nazionale. E, già che c’eravamo, ne abbiamo ovviamente spedite un po’ anche in Europa, pur con costi decisamente più alti e senza alcuna certezza di una consegna prenatalizia, abbiamo deciso che ci piace il rischio! 😉

Semlor

Mi rendo conto solo ora di non avere mai parlato dei semla, una delle mie delizie preferite di Svezia.
Come in Italia, anche qui non mancano i dolci stagionali, quelle prelibatezze che, chissà perché, si mangiano solo in un certo periodo dell’anno.
Se nel Bel Paese febbraio è il mese delle bugie (o chiacchiere), qui domina, per l’appunto, il semla. Impossibile andare in giro senza vedere offerte di konditori e caffè che fanno di tutto per invogliarti a rinunciare alla tua dieta.

Un semla al naturale
Un semla al naturale

A prima vista, il semla sembra essere la versione gigante di un bignè alla panna (quello che a Genova chiamiamo “cavolino“), ma ci sono alcune differenze fondamentali: la pasta è decisamente meno morbida di quella di un bignè e, sotto la panna, c’è un delizioso strato di pasta di mandorle.
In Svezia ci sono due distinte ideologie su come il semla vada mangiato: al naturale (la forma più diffusa) o hetvägg, ovvero in un piatto fondo riempito di latte caldo. In genere, chi apprezza un modo disprezza l’altro.
Personalmente non mi faccio troppi problemi, anche se devo dire di preferire decisamente la versione calda: in questo modo, il bulle si ammorbidisce e diventa ancora più buono!
Purtroppo (o, per fortuna, visto l’impatto sulla mia dieta) febbraio sta per finire: io direi un bel “basta!” a queste usanze stagionali… mangiamo semla tutto l’anno!
Un semla "hetvägg" ("hetvägg" non vuol dire "muro caldo", come molti svedesi stessi pensano, ma "brioche calda")
Un semla “hetvägg”

(non “muro caldo”, come molti svedesi stessi pensano,
ma “brioche calda”)

Stessa procedura dell’anno scorso?

Dopo due capodanni passati a feste da amici e due in Italia, ieri ho provato per la prima volta l’ebbrezza del semplice capodanno in famiglia alla Svedese, a casa di mia suocera.
Come per il Natale, ma in tono minore, c’è un piccolo rituale televisivo che è diventato parte della tradizione: la visione dello sketch teatrale inglese Dinner For One, qui conosciuto come Grevinnan och betjänten (La contessa e il maggiordomo).
Questa è un usanza condivisa con tutta l’Europa del Nord e parte di quella centrale, e ha avuto origine in Germania negli anni ’60. Nonostante lo sketch sia inglese, e trasmesso sottotitolato, è praticamente sconosciuto nel paese natio: gli albionici cascano regolarmente dalle nuvole ogni volta che incontrano un tedesco o un nordico che cita il tormentone “Same procedure as last year?”.

La trama è molto semplice: Miss Sophie continua a celebrare il suo compleanno con i vecchi amici ormai defunti. Tocca al maggiordomo James il compito di impersonarli e, soprattutto, di bere durante la cena al posto loro.

Curiosamente, quella che viene trasmessa in Svezia (ma anche in Svizzera e Norvegia) è una versione alternativa dello sketch che viene mostrato negli altri paesi: più breve e con un tasso alcolico minore. In origine, lo sketch era stato lasciato in sospeso per sei anni prima di essere approvato dalla tv di stato, proprio per questioni legate all’alcolismo.
La versione originale si riconosce immediatamente perché la tovaglia è bianca.

Dopo la visione dello sketch ci siamo seduti a tavola per la cena tradizionale. La versione classica del pasto di capodanno alla svedese non ha le dimensioni epocali del cenone all’Italiana, ma è deliziosa: aragosta per antipasto, filetto di manzo con patate per piatto principale e dessert.

Dopo la cena, siamo andati in piazza. A Malmö l’evento principale si tiene di fronte allo splendido edificio dell’Opera, il principale teatro musicale della città, dedicato alla lirica ma anche a musical ed eventi vari.
Qui è stato allestito un palco su cui si sono esibiti artisti di tipo differente, a fare un riassunto di quanto mostrato nell’anno passato (di recente ho assistito ad una spettacolare rappresentazione di Miss Saigon) e a dare un anteprima per il futuro.

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Dopo il conto alla rovescia, l’esplosione di fuochi d’artificio, davvero spettacolare: a quelli “ufficiali” si uniscono quelli privati, con un risultato mozzafiato.
Il capodanno è, peraltro, una delle poche occasioni in cui la Polizia chiude un occhio sulla bevuta in pubblico, quindi è normale vedere la gente arrivare con bottiglie di spumante o altre bevande “da festa”.

Finiti i fuochi, la piazza si è svuotata piuttosto in fretta, con tipico ordine svedese. A quel punto, visto anche che caldo non faceva, ci è rimasto solo da andare a casa, e preoccuparci per i nostri gatti.

Alla Helgons Dag

Ci sono alcune differenze fra le celebrazioni di Ognissanti in Italia, e quelle Svedesi. La principale è che, a differenza che per il mondo cattolico, la festività non cade in un giorno fisso, ma sempre nel sabato che è più vicino al primo novembre.
Questa è una caratteristica tipica di altre festività svedesi, a partire da Midsommar: un tempo queste occasioni si celebravano in un giorno fisso, ma si è poi preferito spostarle nel fine settimana. Il cambiamento relativo ad Alla Helgons Dag è stato effettuato nel 1953, paradossalmente con l’intenzione di aumentare il numero di giorni di festa dal lavoro: l’Ognissanti svedese, fino a quel momento, era infatti un giorno feriale come tutti gli altri; spostandolo al sabato, che allora era un giorno lavorativo, si decide di rendere Alla Helgons Dag un festivo. Negli anni ´60, i sabati sarebbero poi diventati giorni feriali de facto per gran parte delle professioni, e questa caratteristica di festività è quindi andata nuovamente persa: oggi, il venerdì della vigilia (Alla Helgons Afton) è comunque un semi-festivo.

Un’altra caratteristica è che la Svenska Kyrka non prevede un giorno ufficiale e separato per la Commemorazione dei Defunti, come fa invece la Chiesa cattolica il due novembre: l’usanza tradizionale svedese è proprio di commemorare i propri cari nello stesso fine settimana di Alla Helgons, a partire dal venerdì sera.
Inutile dire che anche le mascherate di Halloween si tengono sempre la sera di Alla Helgons Afton, di venerdì.

La celebrazione dei defunti è, come spesso capita qui nei mesi di buio, un’occasione per fare ricorso alla luce; non sono infatti i fiori l’elemento principale della commemorazione, ma proprio dei suggestivi ceri bianchi che vanno ad illuminare i cimiteri svedesi.
Ogni necropoli ha uno spazio appositamente dedicato e predisposto chiamato minneslund (traducibile come “memoriale” o “angolo della memoria”), in cui si può accendere un lume a ricordo dei propri cari. Chi ha, vicino, sepolture di congiunti, può ovviamente anche scegliere di mettere un cero su di esse.
La cosa ha, ovviamente, un effetto intenso: un minneslund, la sera di Alla Helgons Afton, può essere davvero suggestivo!

Nulla, però, ci poteva preparare alla sorpresa che ci avrebbe aspettato ieri sera, mentre ci siamo messi alla ricerca del minneslund del cimitero di Sankt Pauli, il più grande di Malmö centrale.
Senza saperlo, infatti, ci siamo ritrovati a passare per la parte gitana del kyrkogård, dove siamo stati, letteralmente, abbagliati, dallo splendore di tombe sgargianti e da una festa di luci, colori, e musica più o meno tradizionale (se proprio vogliamo considerare tale una delle più celebri melodie di Nino Rota).
Nè le foto né i filmati, presi con il cellulare, rendono purtroppo giustizia all’esperienza!

Numerose famiglie di romaní erano riunite dinnanzi alle sepolture dei loro cari e, quando è stato il momento di allontanarci, abbiamo sentito intonare canti di dolore tradizionali, con un effetto davvero straordinario.

Finita questa inaspettata sorpresa, abbiamo finalmente trovato il minneslund tradizionale. Qualcuno potrebbe pensare che, dopo la precedente orgia di colori appariscenti, il decisamente più sobrio memoriale svedese appaia, in qualche modo, meno interessante; personalmente, però, direi di no: resta comunque un luogo speciale e suggestivo, con una sua forte componente emozionale.
Due mondi a confronto, uno a fianco all’altro, per due modi diversi, ma sempre intensi, di rendere omaggio ai propri cari che non ci sono più.

Kanelbullens dag

Kanelbullar
Kanelbullar

Come sa chi mi legge da tempo, in Svezia ci piace festeggiare “ufficialmente” i dolci. Oggi, 4 ottobre, si celebra il Kanelbullens dag, dedicato ai rollini di cannella. A differenza che per altre tradizioni, come il vaffeldagen, non ci sono storielle particolari da raccontare al riguardo, se non il fatto che la “festa” è stata istituita il 4 ottobre 1999 dalla responsabile di Hembakningsrådet, un ente che si occupa di promuovere la panificazione casalinga.
La data scelta, il 4 ottobre, coincideva con quella che era, nel 1999, la Giornata dell’Infanzia in Svezia.

La cosa ha preso piede e, attualmente, questo è il giorno in cui le konditori, i forni, i distributori di benzina e i supermercati promuovono con orgoglio il kanelbulle, magari con offerte speciali.
Questo pomeriggio sono arrivate in ufficio, offerte dall’azienda, le delizie di cui sopra, per una deliziosa fika cui non si può proprio resistere!

Vota Antonio, Vota Antonio!

A chi, nelle ultime settimane, non è capitato di ritrovarsi i social network intasati di indicazioni di voto da parte di amici, parenti e conoscenti (e mi aggiungo all’elenco dei responsabili)?

Chi non si è ritrovato in una cena fra amici in cui, inevitabilmente, si finisce col parlare di Berlusconi, Grillo, Bossi, Monti e compagnia?
Ecco, in Svezia tutto questo non succede. Mia moglie mi ha detto più volte di essere rimasta sorpresa di quanto gli italiani parlino sempre di politica: ad esempio non le è proprio mai capitato di trovarsi ad una cena con amici, anche i suoi amici più cari, e discutere di questo o quel ministro, parlamentare o candidato.
Personalmente, poi, non mi è mai capitato di parlare con uno svedese che lasciasse trapelare le sue simpatie o le sue intenzioni di voto. Helena è l’unica persona di cui conosco le scelte. Neanche mio suocero, che pure è uno cui piace dire la sua su molte cose, mi ha mai fatto una “lezione di politica”.

Qualche anno fa scrivevo su queste pagine:

Anche la questione della segretezza del voto, che per noi è quasi un dogma, è, apparentemente, meno sentita.

La cosa, però, vale soprattutto per quanto riguarda la rilassatezza delle procedure di voto.
Quando si tratta di vita sociale, in Svezia la politica sembra essere un tabù, uno di quegli argomenti che non si toccano mai.
A meno di casi particolari (mi viene di pensare ad un attivista, ma non ne conosco nessuno), sentire un amico o un parente che ti dice “mi raccomando, vota XXXX, che se no…” è praticamente impossibile. E sarebbe quasi inaccettabile a livello sociale.
Per carità, non è che ci sia disinteresse, ma evidentemente si preferisce maturare le proprie convinzioni in riservatezza, anziché discuterne in pubblica piazza.
Insomma, ad una qualunque cena con amici, in Svezia si parla di sogni, viaggi, musica, interessi, futuro e passato. Forse hanno capito qualcosa più di noi, sul vero senso della vita?

Di battesimi e viaggi a Stoccolma

A inizio gennaio ho potuto assistere al mio primo battestimo secondo i crismi della Svenska kyrka, per il primogenito di una coppia di amici stoccolmesi.

Come già notato per altri riti religiosi, la prima cosa che salta all’occhio è il livello di “pompa” decisamente minore rispetto al rito cattolico.
Anche in questo caso, il prete, che qui ha più libertà nel preparare la cerimonia (concordandone i passaggi assieme ai familiari), ha avuto un atteggiamento decisamente meno formale, più lieve ed “umano”, durante la celebrazione, rispetto al tipico celebrante italiano.
Il tutto visto dall’esterno, l’impressione è quella che i credenti abbiano più a che fare con un “compagno” di culto, che non di una qualche forma di autorità.

Due le note particolari: la prima riguarda l’impostazione della cerimonia che, come detto, è stata ancora una volta piuttosto informale, alternando alle preghiere e ai canti religiosi anche momenti laici. La famiglia del bimbo ha avuto modo di eseguire dal vivo un brano scritto dal papà (musicista professionista) per il bimbo, senza alcuna tematica sacra. Nulla di strano, se penso che, l’anno scorso, ho assistito ad un matrimonio religioso conclusosi, per la musica che accompagnava l’uscita degli sposi, sulle note di Don’t Stop Me Now dei Queen!

La seconda nota riguarda il prete stesso, ovvero la classica persona che, dalla Chiesa Cattolica, verrebbe definito come un “peccatore”. Non che abbia in qualche modo parlato di certe sue preferenze, ma la cosa era palese a tutti, senza che, peraltro, questo fosse un problema. La Chiesa Svedese non discrimina infatti i preti omosessuali, e permette anche loro di sposarsi con compagni dello stesso sesso.
Eva Brunne è salita qualche anno fa agli onori della cronanca per essere la prima vescova (si dice così?) apertamente omosessuale del mondo cristiano. Per carità, resistenze al riguardo esistono anche qui, ma permettetemelo: quanta ipocrisia in meno!

Attenzione, però: non è che un rito meno pomposo e formale implichi una minore ufficialità o serietà della cerimonia. Il bimbo è stato accolto ufficialmente come nuovo arrivato nella Chiesa Svedese e il fatto di avere musica o altri momenti “non sacri” non sminuisce mai il valore liturgico.

Dopo la cerimonia, nei locali stessi della chiesa, si è tenuta l’immancabile fika con i convenuti.

Altra considerazione, che vale anche per i matrimoni: i regali, qui, sono decisamente più semplici, meno sfarzosi e, soprattutto, sono economici. Niente abbondanza di oggetti in oro, niente somme importanti, niente liste nozze o battesimo o altro. Il regalo è spesso un piccolo pensierino piuttosto semplice, in cui, spesso, si bada più a fare qualcosa di personale che non a cercare di “non fare brutta figura”. Anche questo è un tipo di semplicità che, personalmente, apprezzo molto.
E se proprio lo volete sapere, non esistono neanche le bomboniere: un’intera industria che, qui, non ha ragione di esistere. 😀

Il viaggio mi ha anche dato l’occasione di rivedere brevemente Stoccolma, e qui non nascondo di avere provato un po’ di nostalgia. Gli splendidi panorami acquatici, il mio amato Pub Anchor, la lingua comprensibile, la neve abbondante che copriva tutto (nel frattempo si è sciolta anche lì, ma rispetto alle sputacchiate del brutto e umido inverno scanico è tutta un’altra storia) hanno sicuramente sollecitato il mio animo più malinconico. Per quanto apprezzi Malmö, è Stoccolma la città di cui mi sono veramente innamorato e che mi ha fatto, a sua volta, innamorare della Svezia. Chissà, forse un giorno torneremo a vivere lì…

La chiesa di Boo, vicino a Stoccolma
La chiesa di Boo, vicino a Stoccolma

Di Santi, capre, folletti e Babbi Natali

Jultomtar in una vetrina
Jultomtar in una vetrina

Chiunque sia mai stato in Svezia in questo periodo dell’anno è sicuramente rimasto affascinato, prima o poi, dalla presenza di quei folletti vestiti da Babbo Natale che affollano i negozi di souvenir ma che appaiono anche nelle vetrine dei negozi “normali”. Ma chi sono esattamente questi folletti? Sono effettivamente delle versioni particolari di Babbo Natale? Ne sono lontani parenti? C’è anche solo una qualche relazione fra le due figure? La risposta si trova indagando fra miti e leggende europee, passando per la terra della Coca Cola e di Walt Disney…

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C’era una volta in Europa…
Babbo Natale, almeno come lo conosciamo noi, è una creazione americana del diciannovesimo secolo. La figura di Santa Claus, vecchio pacioccone fatato vestito di rosso e portatore di doni pesca però a piene mani da diverse tradizioni europee, e due in particolare la fanno da padrone.

Sinterklaas (in alto, foto di Gaby Kooiman da Wikipedia) e Father Christmas (in basso)
Sinterklaas (in alto, foto di Gaby Kooiman da Wikipedia) e Father Christmas (in basso)

Il Sinterklaas olandese è una figura popolare basata su quella di San Nicola, con l’aggiunta di elementi precristiani legati soprattutto ad Odino. Sinterklaas ha una lunga barba bianca, veste da vescovo (e quindi di rosso) e porta doni (cavalcando sui tetti) nella notte fra il 5 e il 6 dicembre. Non si tratta quindi, almeno originariamente, di un mito strettamente natalizio.

Il Father Christmas britannico è invece una figura di origine prettamente pagana. Da principio noto come Vecchio Inverno (Old Man Winter), era la personificazione della stagione e veniva generalmente identificato con Woden, l’Odino britannico. Con l’arrivo della cristianità i vecchi miti pagani furono assorbiti: la Festa del solstizio d’Inverno divenne il Natale e il Vecchio Inverno sopravvisse popolarmente come Father Christmas, riemergendo, in particolare, nel quindicesimo secolo. Un vecchio giovale ma smilzo, originariamente vestito di verde, talvolta a cavallo di una capra, Father Christmas divenne quindi la personificazione del Natale: il suo mito si diffuse in Europa per via della traduzione di alcuni racconti, ed è per questo motivo che, in Italia, si utilizza il termine Babbo (o Papà) Natale, invece di San Nicola o Santa Claus.

Il Santa Claus di Nast
Il Santa Claus di Nast

Santa Claus negli Stati Uniti
I miti popolari europei si incontrarono negli Stati Uniti, mescolandosi fra loro e creandone di nuovi. La nascita del moderno Santa Claus viene ricondotta al poema del 1823 The Visit Of Saint Nicholas, oggi noto soprattutto come The Night Before Christmas e attribuito a Clement Clark Moore. In questo racconto vengono stabiliti in maniera definitiva molti degli elementi canonici del personaggio: San Nicola si lega ora con il Natale, perde l’abito da vescovo (sostituito da pellicce), è una figura fatata che porta doni ai bambini buoni attraverso i camini e vola nel cielo su una slitta trainata da renne. Per un passo importante nella definizione moderna di Santa Claus, bisognerà attendere un’illustrazione del 1863 di Thomas Nast, che illustrò un vecchietto rubicondo, allegro e decisamente sovrappeso. Fu in uno dei libri illustrati di Nast che venne definito un altro elemento importante: è da allora che sappiamo che Babbo Natale vive al polo Nord.

Il Babbo Natale definitivo!
Il Babbo Natale definitivo!
(© The Coca Cola Company)

Il Santa Claus definitivo arriva però nel 1931 grazie alla Coca Cola e, in particolare, all’illustratore Haddon Sundblom: scritturato per una campagna promozionale, Sundblom ci disegna il Babbo Natale che tutti conosciamo. Un vecchietto di grande stazza, gioviale e che irradia calore e umanità. Se fino a quel momento esisteva ancora un dubbio sul colore dell’abito di Santa (con il verde come alternativa principale), è con questa versione che diventerà per sempre rosso e bianco. Guarda caso proprio i colori simbolo di una certa bevanda…
Il Santa Claus “made in Coca Cola” divenne immediatamente popolarissimo, al punto che, già per il Natale successivo, Walt Disney decise di produrne una propria versione animata: Santa’s Workshop (in Italiano Papà Natale) è tuttora un classicissimo dell’animazione del periodo e fa parte, quarda caso, di quel Kalle Anka och hans vänner önskar God Jul che è parte fondamentale della celebrazione del Natale per gli Svedesi.
Grazie alla Coca Cola, alla Disney e alla Seconda Guerra Mondiale, Santa Claus “ritornò” un po’ alla volta in Europa, dove reincontrò, per lo più soppiantandole, le sue versioni primigenie. Nelle Isole Britanniche, ad esempio, i termini Santa Claus e Father Christmas sono ormai sinonimi, e solo in alcune parti più tradizionaliste viene celebrato il vecchio personaggio.
Cosa c’entra, quindi, la Svezia con tutto questo, e qual è la relazione fra la terra di Pippi Calzelunghe e Babbo Natale?

Nel frattempo, in Svezia…
In Svezia, ci sono due miti folcloristici storici da prendere in considerazione prima di arrivare al moderno Jultomten.

Julbocken ai piedi dell'albero
Julbocken ai piedi dell’albero

Il primo è la Julbock, ovvero la Capra di Yule. Probabilmente di origine pagana, e legata al dio Thor, la Capra ha rappresentato a lungo lo Spirito che controllava che il Natale fosse celebrato a regola d’arte. Ad un certo punto, nel corso del diciannovesimo secolo, la Capra cominciò ad assumere il ruolo di portatrice di doni per i bambini. Era solitamente il padre o un anziano di famiglia a travestirsi da Capra e bussare alla porta di casa nel pomeriggio della vigilia. Come vedremo, la Julbock perse relativamente in fretta questo ruolo, ma è rimasta comunque uno dei simboli del Natale svedese.
Le caprette di paglia sono ancora oggi una decorazione tipica delle case della nazione, e, nella città di Gävle, viene regolarmente costruita una gigantesca Capra, destinata ad essere incendiata allo scoccare dell’anno nuovo.

Gävlebocken: foto di Tony Nordin
Gävlebocken: foto di Tony Nordin

La seconda figura folcloristica importante è il Tomte. Originariamente un folletto benigno, capriccioso e fortissimo che si occupava di proteggere la casa, la fattoria e il bestiame durante le ore notturne (ma anche di causare danni a chi non si comportava correttamente o gli mancava di rispetto), la credenza del Tomte venne a lungo demonizzata e ripudiata con l’arrivo della cristianità. Inutile dire che il mito sopravvisse comunque, finendo con l’assumere poi un ruolo sempre più legato al Natale. In particolare,
lo scrittore Viktor Rydberg introdusse per la prima volta lo Jultomten nella novella Lille Viggs äventyr på julafton (L’avventura del Piccolo Wiggs durante la Vigilia di Natale, 1871) e poi nella poesia Tomten (1881). In quest’ultima, il Tomten era un folletto natalizio che girava per la casa la notte del sostizio d’inverno ponderando sulla situazione.
Fu l’illustratrice Jenny Nyström a rappresentare graficamente lo Jultomten di Rydberg, al punto che la disegnatrice viene ricordata in Svezia come “la mamma di Babbo Natale”. Un’altra rappresentazione grafica amatissima (ma decisamente successiva) del folletto è quella di Harald Wiberg.
Jultomten ereditò in fretta dalla Julbocken il ruolo di portatore di doni: questo processo avvenne per induzione dalla Danimarca, dove lo julenisse aveva una funzione simile, e dalla Germania, paesi in cui si stava espandendo l’influenza di Sinterklaas e dei suoi “parenti”.

I Tomtar di Jenny Nyström
I Tomtar di Jenny Nyström.
(© degli aventi diritto)
Da notare come, nei decenni successivi, il Jultomten delle illustrazioni della Nyström cominciò a convergere con Santa Claus.
Da notare come, nei decenni successivi, il Jultomten delle illustrazioni della Nyström cominciò a convergere con Santa Claus e Father Christmas.

Quando dagli USA cominciò ad arrivare la figura del Santa Claus moderno, in particolare con gli anni ´30 del XX secolo, in Svezia esisteva già una radicata tradizione relativa agli jultomtar. Mentre il Santa Claus americano era uno solo, era un uomo di grossa stazza, viveva al Polo Nord e si calava dai camini la notte della vigilia, il Tomten era una figura legata alla famiglia o alla comunità, viveva nel boschetto vicino a casa e bussava alla porta di casa nel pomeriggio della vigilia. Le due figure si ritrovarono in qualche modo a convergere e il nome Jultomten passò ad identificare tanto il piccolo folletto svedese quanto il rubicondo vecchietto sovrappeso. Al giorno d’oggi, i bimbi svedesi, quando parlano di Tomten (senza specificare altro), fanno riferimento senza dubbio a Santa Claus, ma il piccolo folletto continua comunque ad esistere con lo stesso nome nell’immaginario, nella riprosizione degli scritti di Rydberg (sempre popolari), nel folklore… e nei negozi di souvenir di tutta la Svezia!

Il meraviglioso Tomten di Wiberg!
Il meraviglioso Tomten di Wiberg!
(© degli aventi diritto)

Peraltro, il Babbo Natale svedese conserva caratteristiche uniche derivate dal piccolo folletto: non si cala dai camini, ma, ereditando il ruolo che fu della Capra, continua a bussare alla porta di casa nel pomeriggio della vigilia (subito dopo la visione del già citato Kalle Anka och hans vänner önskar God Jul) e non vive al Polo ma in qualche bosco nelle vicinanze. Perché globalizzati sì, ma sempre con un minimo di orgoglio Nazionale! 😀

Infine, una raccomandazione in conclusione: se passate dalle parti di Stoccolma in questo periodo, evitate di comprare i tomtar prodotti in serie e venduti nelle trappole per turisti, ma fate piuttosto un salto al meraviglioso Tomtar & Troll nella città vecchia. È un negozio artigianale, dove troverete i tomtar (e i troll) più belli di Svezia, creati a mano dalle signore proprietarie. Ne vale la pena!


Un fantastico cortometraggio del 1926 basato su Tomten con sottotitoli (purtroppo approssimativi) in Inglese

In coda

Da un articolo del Corriere della Sera.

Il numeretto, quel triangolino di carta con su scritta una cifra preceduta da una lettera, ormai siamo costretti a staccarlo ovunque, anche al banco più sperduto del mercato o nel panificio di periferia. Ha un nome che la dice lunga: il tagliacode.
Chi va in giro per l’Europa, sa che quegli aggeggi esistono solo da noi. Difficile vederne, soprattutto nel Nord Europa. Insomma, noi italiani abbiamo sempre bisogno di qualcosa o qualcuno che ci metta in riga. Da soli non ne siamo capaci. Siamo geneticamente incompatibili alle code.

Eh no, caro Roberto Ferrucci: la premessa è una corbelleria bella e buona.
Il “numeretto” qui in Svezia lo usiamo, e tanto: dal banco rosticceria del supermercato alla farmacia, passando per quei Systembolaget che non hanno il selfservice, molte konditori, il pronto soccorso e tanti altri posti ancora.

Poi è verissimo: gli Italiani sono incapaci di stare in fila. Nel Bel Paese, il concetto di “coda” è stato sostituito con quello di “bolla”, e la cosa è davvero irritante per ognuno di noi quando torna nel proprio paese: soprattutto in certi contesti non è bello ritrovarsi addosso persone da ogni lato.
Questo non è però un buon motivo per fare disinformazione costruendo un articolo a partire da una premessa falsa.

Consoliamoci con il meraviglioso video del grande Bruno Bozzetto che ci racconta delle differenze fra Italiani e resto d’Europa! 😀

Kräftskiva e Malmöfestivalen 2012

Quelli di metà agosto sono tipicamente i giorni delle kräftskiva, le grandi feste a base di gamberoni d’acqua dolce.
Come da tipica usanza, gli svedesi si riuniscono per grandi mangiate in cui degustano il crostaceo, crostaceo che, storicamente, veniva pescato in grandi quantità nei primi giorni di agosto.
Oggi, a causa di problemi ambientali e malattie, il kräfta è un animale protetto in Svezia, e la gran parte di quelli che si mangiano sulle tavole svedesi vengono importati dalla Cina e dalla Turchia.

Come spesso capita, la kräftskiva (che è anche la festa che celebra la fine dell’estate) è accompagnata dagli immancabili bottiglini di snaps (la regola vuole che, per ogni gamberone, se ne debba bere un bicchierino), dalle canzoncine tradizionali (gli snapvisa) e dalle inevitabili patate bollite e aringhe.
Tipici della festa sono anche le decorazioni a forma di luna e i cappellini di carta, spesso decorati con disegni del gamberone.

E proprio “la più grande kräftskiva di Svezia” ha dato il via, come da tradizione al Malmöfestivalen 2012.
Migliaia di persone si sono adunate venerdi sera in Stortorget per l’abbuffata, mentre una fantastica band country alternava, dal grande palco, brani del proprio repertorio a riarrangiamenti di simpatici snappvisor.
Per l’occasione, la solitamente rigida polizia svedese, pur dispiegata in forza, ha ovviamente chiuso un occhio sul consumo pubblico di alcool in piazza, proibito per legge.

Kräftskiva in Stortorget

Il cavallo addobbato

Un “festeggiante” con gamberoni e cappellino

Tutto ciò ha dato il la, appunto, al Festivalen, grande evento cittadino fatto di concerti su concerti (nella tenda dietro l’angolo ti può capitare di trovare una big band swing), bancarelle, eventi culturali, un luna park in mezzo alle case, e tanto altro ancora.

And the band plays on.

Peraltro, questi giorni sono anche graziati da giornate splendide con temperature elevate, al punto da potere girare in maniche corte anche di notte, cosa piuttosto inusuale per un paese in cui, quando finisce la luce del sole, bisogna immediatamente coprirsi.
Malmö, nei giorni del Festivalen, offre proprio il meglio di sé: l’atmosfera è rilassata e festiva al tempo stesso, ed è proprio un piacere gironzolare per le strade, magari mangiando un Lángos ungherese, un kebab di cinghiale o un gyros di alce comprati in uno degli innumerevoli botteghini sparsi per la bella Gustav Adolfs Torg.
Come già scritto l’anno scorso, se mai doveste pensare di farvi un viaggio a Malmö, quelli del Festivalen sono sicuramente i giorni migliori!

In giro per bancarelle

Studenten

In questi giorni Malmö, come praticamente tutta la Svezia, è travolta dalle celebrazioni per Studenten, ovvero la conquista del diploma di scuola superiore.
Per le strade si riversa una marea di teenager vogliosi di festeggiamenti e di casino, rigorosamente agghindati con la divisa ufficiale di Studenten (cappello e abito bianco per le ragazze, cappello e vestito elegante per i ragazzi) e simpaticamente, e spesso in maniera autoironica, “orgoglioni”.
Dopo l’adunanza iniziale, a cui partecipano anche i genitori (spesso brandendo cartelloni che mostrano i propri “piccoli” quando erano piccoli sul serio), si da il via ai festeggiamenti in giro per la città.

A seconda del budget, ecco quindi scorrazzare auto di lusso o mega camion scoperti pieni di giovani schiamazzanti e a tasso alcolico decisamente elevato (in questo caso guida un genitore o un amico astemio), prima di finire le celebrazioni con una serata fuori ad un party!
Purtroppo le foto che ho scattato, di bassa qualità, non catturano i momenti migliori, spero che possiate accontentarvi comunque. 😀

P.S.: Mi rendo conto di non aver scritto nulla per oltre due mesi, ma un po’ per mancanza di ispirazione, un po’ per impegni vari, mi è risultato difficile concentrarmi sul blog. In ogni caso, sono successe un po’ di cose interessanti su cui vi aggiornerò nelle prossime settimane.


Aggiornamento del 2 luglio: nel fine settimana me li sono ritrovati tali e quali anche a Copenaghen. Le ultime due foto della galleria qui sopra vengono dalla capitale danese.

Våffeldagen

Oggi abbiamo passato un buon våffeldagen, ovvero il giorno dei våffla: si tratta di quei biscotti cotti su piastra calda che conoscerete magari come gaufre o waffle.
Il 25 marzo in tutta la Svezia si mangiano i våffla, e nel caso uno non sia provvisto della tipica piastra per prepararveli in casa, ci penseranno le caffetterie a farvi cadere in tentazione.

L’origine di questa tradizione è piuttosto curiosa: in origine era infatti legata alla festività dell’Annunciazione, nota come vårfrudagen (traducibile come “il giorno di Nostra Signora”). Da qui qualcuno ha pensato al gioco di parole, ed è così nato il våffeldagen.

Come gran parte delle festività religiose in Svezia, la celebrazione dell’Annunciazione è stata poi spostata alla domenica più vicina al giorno effettivo, ma il våffeldagen è rimasto puntuale al 25 marzo di ogni anno.

La preparazione

Servito come si deve, con panna e marmellata!

L’arrivo di Lucia

Se Första Advent (la prima domenica dell’Avvento) inaugura ufficialmente la stagione natalizia, è con Lucia che si entra veramente nel pieno dei festeggiamenti.
Il riferimento è, ovviamente, alla Santa siciliana, ma la celebrazione svedese assume connotazioni particolari, figlie in parte della tradizione germanica: Lucia è soprattutto la festa della luce, in quello che è il periodo più buio dell’anno.
La notte di Santa Lucia, mentre si festeggia con glögg e i giovani sono fuori a bere e divertirsi, la bionda Lucia (solitamente la bimba di famiglia) arriva in processione vestita da angioletto illuminato e cantando le tipiche canzoni della festa (su tutte, la versione svedese del celebre brano napoletano).
Al di là della famiglia, Lucia e il suo seguito fanno la loro regolare venuta, il 13 dicembre, nelle scuole, nei luoghi di incontro e persino nelle aziende: in questi casi, a comporre il gruppo di Lucia possono essere bambine come giovani adulte, membri di cori professionali come dilettanti del cantato.
Negli ultimi anni sono scoppiate piccole polemiche qua e là perché qualche scuola, nel nome dell’uguaglianza, ha cercato di proporre dei Lucia-maschietti. Per certe cose, gli Svedesi non si smentiscono mai… 🙂

Lucia in sala mensa

Proprio oggi, comunque, Lucia è venuta a trovarci nella nostra mensa, accompagnata dagli immancabili dolci di zafferano lussekatt, noti anche come Lucia-bullar, e dosi abbondanti di buon caffè svedese. Decisamente un modo suggestivo di iniziare la giornata!

 

Svezia: Inferno e Paradiso

Finalmente, dopo che ne avevo assaggiato alcuni spezzoni su YouTube, io e mia moglie ci siamo messi a guardare la versione integrale di Svezia, Inferno e Paradiso, storico documentario shock italiano che, alla fine degli anni ´60, contribuì ad alimentare una serie di assurdi luoghi comuni sulla Svezia.
Il documentario ottenne un buon successo in Italia e all’estero, creando miti assurdi e (pare) favorendo il turismo sulle tratte aeree che conducono a Stoccolma.

Innanzitutto viene da chiedersi come mai Luigi Scattini abbia deciso di infamare proprio la Svezia, fra tutti i paesi in cui c’era un livello di emancipazione differente rispetto a quello Italiano. I fattori devono essere molti: sicuramente il fascino esercitato dalla donna bionda svedese che arrivava in Italia e che si mostrava in giro senza essere accompagnata da padre o marito (cosa spesso inconcepibile ancora nell’Italia degli anni ’60), che si permetteva di bere in pubblico o di agire in maniera indipendente.

Una spinta devono anche averla data film come Io Sono Curiosa – Giallo di Vilgot Sjöman o Monica e il Desiderio di Ingmar Bergman che, con le loro scene di nudo e/o argomenti sensuali, avevano creato un’immagine certamente distorta della società svedese.
Ovviamente, la legalità della pornografia era un altro elemento a favore del mito del svensk synd (il “peccato svedese”)…

Fatto sta che Scattini si deve essere divertito con gran gusto ad inventarsi situazioni talmente assurde dal far scompisciare dal ridere: lo sapete che le ragazze svedesi fanno tutte le sauna assieme e poi vanno a correre nude sulla neve? Che se provi a fermare un malvivente che ti sta rubando la macchina sarai arrestato, mentre lui potrà proseguire indisturbato nella sua opera? Che le ragazze non possono girare in periferia perchè saranno inevitabilmente stuprate da gang di biker? Lo sapete che l’arcipelago di Stoccolma offre una vista paradisiaca di ninfette che prendono sempre e rigorosamente il sole come mamma le ha fatte (strano che abbiano il segno del costume addosso!)? Che le vigilesse sono delle stronze insensibili che ti fanno la multa anche se sgarri di un minuto al parchimetro, e poi vanno a posare nude negli studi pornografici? Che le donne svedesi sono in realtà sempre depresse anche quando pensano di essere felici? Che i giovani abbandonano le famiglie e lasciano i genitori a morire da soli in un “cimitero degli elefanti”? Che il maschio latino non andava già più di moda negli anni ´60, ma che ogni ragazza del periodo si concedeva senza alcuna esitazione al primo africano che passava da quelle parti? Che i professori insegnano l’educazione sessuale utilizzando testi che in qualunque altra nazione porterebbero ad arresti di massa? Che le coppie svedesi non vogliono avere bambini se il momento non è quello giusto? Che le ragazze hanno le prime esperienze sessuali all’età di cinque anni e ne parlano in televisione senza alcun problema (in realtà, per chi conosce lo svedese, la ragazza dice di avere avuto il primo accenno di educazione a quell’età, ma la narrazione, sia in Italiano che in Inglese, trasforma il tutto in “prima esperienza”). Che gli svedesi non hanno alcun futuro perchè finiranno inevitabilmente suicidi o alcolizzati?

Il tutto è narrato sempre con un tono estremamente moralista e scandalizzato, aggiungendo puntualizzazioni gratuite spesso assolutamente spiazzanti.
Ovviamente il film non fu accolto molto bene in Svezia: fu trasmesso dalla televisione nazionale nell’ambito di una serie di programmi del tipo “come ci vedono”, ma fu anche pesantemente tagliato perchè molte delle persone riprese non avevano dato alcun consenso ad essere immortalate. Il giorno dopo la trasmissione, le proteste furono molto accese.

A guardarlo oggi, fondamentalmente, ci si fa del gran ridere. Si capisce chiaramente l’intento scandalistico del regista e la sua voglia di fare cassa esponendo più carne femminile possibile e presentando storielle in grado al tempo stesso di fare scalpore ed allupare il buon vecchio maschio latino. Mia moglie lo ha preso a metà fra il ridere e l’incazzatura (“Come si permette questo di infangare il mio paese in questa maniera”?), ma alla resa dei conti la conclusione è una sola: con tutto quel falso moralismo, e con l’esposizione di quelle che, di fatto, sono solo sue fantasie, alla fine la figura peggiore la fa proprio il regista.

Visione consigliata? Se volete sì, ma prendetelo appunto per quello che è: una divertente sequenza di vaccate con qualche pizzico di verità e tanta, tanta fantasia un po’ malsana…


Piccolo aggiornamento: nella recensione mi sono dimenticato un commento per la bella colonna sonora, composta di brani jazzy originali di Piero Umiliani (fra cui la versione originale di quel Mahna Mahnà reso celebre dei dei Muppets) e gioiellini pop del periodo. Sicuramente la cosa migliore del documentario!