Elezioni 2022: la parte svedese

 

Ho appena votato, in anticipo di qualche giorno, alle elezioni svedesi per il Parlamento, il comune di Tomelilla e la regione Skåne.

Le schede da inserire nella busta


Le modalità sono sempre quelle di cui avevo parlato anni fa, quindi potete leggere il relativo post. La differenza rispetto ad allora è che nel frattempo sono diventato cittadino svedese, e che quindi posso ora votare per il parlamento.

Sul sito del Com.it.es abbiamo anche scritto un articolo che spiega ai cittadini italiani come votare in Svezia.

Sono elezioni particolari, che secondo i pronostici potrebbero indicare il passaggio da un governo a guida Socialdemocratica ad uno di centro destra, grazie ad un probabile accordo fra Moderati e il partito di estrema destra dei Democratici Svedesi. Se questo verrà fatto tramite un appoggio esterno o con la partecipazione diretta di Sverigedemokraterna all’esecutivo è tutto da vedere. Se, come sembra, gli stessi Moderati saranno il terzo partito (in caduta libera rispetto al passato), è molto improbabile che possano aspettarsi di fare un governo senza lasciare ministeri al gruppo di Åkesson. 

I Socialdemocratici saranno, probabilmente, ancora il primo partito. Ma, a seguito della decisione dei Liberali di tornare ad un orientamento di centro-destra, è molto improbabile che riescano a governare. Con il Partito Ambientalista al limite della soglia di sbarramento del 4%, e la compatibilità pressoché nulla fra il partito del Centro e quello della Sinistra (che fra l’altro non ha gradito per nulla l’adesione richiesta alla NATO), ben difficilmente avrà i numeri per un governo, anche solo di minoranza come negli ultimi anni. 

L’alternativa sarebbe una grande alleanza fra Socialdemocratici e Moderati, alleanza richiesta da alcune forze centriste del paese, ma che per ora non sembra essere nei programmi dei due partiti. Dopo le elezioni, ovviamente, potrebbe cambiare tutto!

Poi, se tutto va bene, domani riceverò probabilmente il plico elettorale per le elezioni italiane. Due votazioni in pochi giorni!

Utilizzi creativi

Mia figlia ha trovato modo di sfruttare le schede referendarie arrivate oggi, fuori tempo massimo per potere votare.

Non si butta via niente

P.S.: Abbiamo lanciato ieri il sito del Com.It.Es svedese, di cui sono onorato di far parte. Mi troverete anche lì.

Diritto negato

Per la prima volta da quando risiedo in Svezia, non mi sono arrivate in tempo utile le schede per votare ai Referendum. Al di là di quali fossero le mie intenzioni al riguardo (votare o meno, e a quali quesiti) resta comunque un diritto che è stato negato a me e tanti altri. Sì, perché, a quanto pare siamo proprio tanti in Svezia a ritrovarci in questa situazione.
Con i Comites di Stoccolma indagheremo nei prossimi giorni le ragioni della cosa e discuterne assieme al Consolato per evitare che il problema si ripresenti.

Perché?

Immancabilmente, come ad ogni occasione, ho appena esercitato il mio diritto/dovere di cittadino italiano, imbucando il mio plico elettorale per le elezioni del 4 marzo.
La procedura è sempre la stessa, un rituale complesso e quasi messianico che prevede il giusto incastro di buste, schede e tagliandi per evitare di vedersi invalidare il voto.
Il grosso vantaggio rispetto agli elettori residenti in Italia è che noi delle circoscrizioni estere abbiamo la possibilità di esprimere delle preferenze, e quindi ho potuto scegliere dei candidati che mi rappresentano pienamente (chi mi segue sulle reti sociali sa cosa voto, quindi non vi ammorbo anche qui).

Fra l’altro, questo è un anno particolare, perché mi ritroverò a votare sia per il parlamento italiano che, a settembre, per quello svedese.

Sempre immancabilmente, ad ogni occasione mi arriva la grande domanda: “Perché?”.
“Perché tu che te ne sei andato continui ad interessarti di politica italiana quando le cose che vengono decise non ti toccano?”

La risposta è sempre la stessa:

  • perché sono cittadino italiano,
  • perché quello che fa l’Italia in termini di politica estera ha un impatto anche sulla mia vita,
  • perché devo interagire con i consolati italiani,
  • perché ho proprietà in Italia, e, quindi, quello che decide l’Italia in termini di politiche tributarie ha un impatto sulla mia vita,
  • perché un giorno potrei decidere di tornare a vivere in Italia o perché potrebbe farlo mia figlia,
  • perché semplicemente è un diritto e dovere! 

Quindi, lo scrivo qui e mi riservo di spedire questo link a tutti quelli che mi rifaranno la solita domanda. Buon voto a tutti!

Articolo 48 della costituzione (ovvero: avete rotto!)

Costituzione

Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.

Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.

La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge.

Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.

Non mi è mai piaciuto esprimere opinioni politiche tramite questo blog perché ritengo che non sia questo lo scopo dello stesso, e, quando qualcosa è trapelato, la cosa è sempre avvenuta in maniera misurata.

Al referendum io ho votato, come ogni volta che mi è stato possibile, esercitando il mio diritto/dovere. Cosa ho votato non è importante in questo contesto e non lo dirò qui: potrei tranquillamente aver votato per il sì come il per no. Potrei anche avere annullato la scheda (scelta che ho sempre ritenuto legittima).

Quello che però mi sta facendo sempre più imbufalire, negli ultimi anni, è il continuo tentativo di delegittimare il voto degli italiani all’estero. Allucinante poi, che questi tentativi di delegittimazione avvengano da esponenti politici che dovrebbero avere ben chiara la costituzione (che magari si vantano anche di difendere) e che dovrebbero invece rallegrarsi del fatto che i cittadini partecipino alla vita politica. Questa volta, quindi, mi sfogo.

Voti comprati

contro-salvini

La costituzione parla chiaro: leggetela qua sopra, stampatevela nella testa e fatevene una ragione.

Ora, non sta a me di spiegare perché la vita degli italiani all’estero sia comunque influenzata in maniera diretta dagli eventi che accadono in Italia. Potrei elencare le mie questioni personali, ma sarebbe comunque una delle mille sfaccettature dell’argomento. Potrei parlarvi della gestione della politica estera, delle tasse sulle proprietà, delle famiglie divise su due nazioni, della necessità di interfacciarsi con le autorità italiane e di mille altre cose… ma c’è tanta letteratura al riguardo che spiega queste cose meglio di quanto farei io, e vi invito a cercarla (e leggerla!) in rete.

Quello che però mi fa veramente incazzare è il concetto, ribadito spesso, per cui “se vincono gli altri col voto degli italiani all’estero è perché ci sono dei BROGLI

Dipende da chi vince!
Dipende da chi vince!

Gente che non ha assolutamente idea dei meccanismi elettorali e straparla di schede che votano in sedi di partito.
Gente che non ha assolutamente idea dei meccanismi elettorali e straparla di schede che votano in sedi di partito.

E quando vincono gli altri?
E quando vincono gli altri?

Ora, sinceramente, piantatela.
Tutti: destra, sinistra, sopra, sotto, in mezzo, si, no, boh, bla, non me ne frega nulla.

Gli italiani all’estero hanno tutto il diritto di votare e, di conseguenza, il loro voto ha il diritto di essere decisivo se le circostanze lo prevedranno. Rispettate il concetto di democrazia, per cui può vincere anche l’altra parte, evitate di fare vergognosi piagnistei e insinuare sospetti vergognosi e patetici quando i cittadini fanno il loro dovere.

Poi vogliamo discutere? Discutiamo.

  • Ius sanguinis: forse è vero. Forse l’Italia lo estende per troppo a lungo anche a generazioni che, ormai, hanno perso ogni contatto con la terra d’origine. Ricordatevene però anche quando la vostra squadra preferita compra il giocatore brasiliano grazie al passaporto italiano di mille generazioni fa, o quando si provano a proporre lo ius solis o una naturalizzazione facilitata (perché se i figli di uno che va all’estero devono perdere la cittadinanza, devono poi per forza potere acquistare quella del paese in cui vivono). La Svezia fa così: se i discendenti non fanno attivamente richiesta per mantenerla al compimento della maggiore età, possono perdere la cittadinanza. Però la Svezia concede la naturalizzazione molto più facilmente dell’Italia. Vi va bene?
  • Immagino che Gabriele, che scrive sulla pagina di Salvini, sia favorevole a dare il voto agli stranieri residenti in Italia, dato che devono preoccuparsi di dove vivono.
    Immagino che Gabriele, che scrive sulla pagina di Salvini, sia favorevole a dare il voto agli stranieri residenti in Italia, dato che devono preoccuparsi di dove vivono.

  • I cittadini all’estero non devono poter votare: è la costituzione, baby, ed è un diritto per cui ci si è battuti. Al limite si può fare come fanno altri paesi che, a intervalli regolari, prevedono che i residenti all’estero si ri-registrino come elettori, invece che mandare automaticamente tutto a casa anche a chi non se ne è mai curato. Parliamone.
  • Il voto per posta vuol dire che si possono fare brogli: il voto per posta si utilizza in tanti paesi (a volte anche internamente) per garantire ai cittadini la possibilità di esercitare un diritto. Il meccanismo utilizzato (l’ho già descritto in passato, evitate di parlare della bufala delle schede vidimate, che qui non si usano) è, tutto sommato, un compromesso abbastanza funzionale fra segretezza e certezza del voto. Tocca poi ai rappresentanti delle parti in gioco vigilare sull’operato degli scrutatori. Esattamente come in qualunque seggio. Dove i brogli non sono mai esistiti (sarcasmo). Al limite si può rivedere leggermente il meccanismo: in Svezia, ad esempio, c’è forse una maggiore certezza su cui abbia effettivamente votato (si firma la busta, e due testimoni controfirmano), ma di conseguenza c’è anche meno segretezza. Dai e togli, sempre un compromesso è.

Ma ripeto: non è una questione di cosa io abbia votato, perché in realtà non lo sapete. Questo post e i commenti ripresi da Facebook sono per difendere la legittimità del voto e solo per quello: difenderò il risultato qualunque sia, anche se non dovesse essere quello che ho espresso io. E, soprattutto…

SVEGLIAAAAA!
SVEGLIAAAAA!

Dovere effettuato, versione 2016

Scheda elettorale 2016Anche per questa volta il mio dovere è stato fatto: oggi ho spedito all’ambasciata la scheda elettorale per il referendum sulle trivelle.

La procedura è stata identica a quella delle volte precedenti, quindi vi rimando a questo post per scoprire il funzionamento del voto per i residenti in Svezia.

A chi mi chiederà perché abbia deciso di votare ad un referendum sulle trivellazioni nei mari italiani, quando abito a centinaia di chilometri di distanza, le risposte sono due:

  1. Ci tengo all’Italia, e anche se oggi non ne ho alcuna intenzione, non escludo in maniera categorica che un giorno non possa volere tornare a viverci (solo gli stupidi non cambiano mai idea). E, in quanto cittadino italiano, è mio diritto e dovere votare.
  2. Purtroppo il voto degli italiani all’estero è rilevante per il raggiungimento o meno del quorum (cosa che, realisticamente pensando, non avverrà per questo referendum). E io, anche nel caso in cui sia per il “no”, sono contrario a non votare con il fine di fare fallire il referendum. Trovo che il sabotaggio sia un modo incivile di sfruttare l’astensione fisiologica per sostenere la propria posizione. Quindi, ai referendum voto sempre, anche a costo di annullare la scheda.

 

Le istruzioni di voto: notare la parte sul mittente!
Le istruzioni di voto: notare la parte sul mittente!

Il Sindaco non c’è! (…o quasi)

Una delle cose che più distanzia l’amministrazione della cosa pubblica svedese da quella italiana, è che qui spesso non avviene, allo stesso modo, la focalizzazione del potere su singole persone.  La cosa si è evidenzia al massimo nella gestione della città. Per farla breve e semplice, qui in Svezia il sindaco non esiste. Dal 1971, infatti, la figura del borgmästare è starta definivitamente abolita, e il compito di amministrare la città lasciato ad una giunta di “assessori” (kommunalråd) eletti dal consiglio comunale, ognuno con competenze specifiche, senza che ci sia una singola persona ad essere responsabile di tutto. Nei comuni più piccoli il numero di kommunalråd può essere di anche solo due o persino una persona, ma, chiaramente, si va a salire nelle città più grandi.  Già storicamente la figura del borgomastro non era necessariamente univoca: soprattutto nelle città più grandi capitava che ci fosse un borgomastro magistrato (responsabile della giustizia locale) ed uno politico (equivalente del nostro sindaco, appunto). In casi particolari si è arrivato ad avere anche quattro borgomastri nella stessa città.

Karin Wanngård, capo coalizione di centrosinistra, e ora
Karin Wanngård, capo coalizione di centrosinistra, e ora “sindaco” di Stoccolma. Foto di Frankie Fouganthin presa da Wikipedia

Come dicevamo, dal 1971, la figura del sindaco non esiste più, almeno legalmente. In molti casi, però, i comuni continuano ad utilizzare il titolo in forma puramente rappresentativa, per mantenere contatti con l’estero o partecipare a funzioni ed eventi pubblici. Non essendoci una legge  al riguardo, ogni comune fa un po’ come gli pare: il “borgmästare” può essere ad esempio il presidente del consiglio comunale o uno (o più, eventualmente anche a turno) degli assessori della giunta. Spesso è anche il leader locale del partito vincitore delle elezioni. Ad esempio, dopo le elezioni del 2014, il titolo di borgomastro di Stoccolma è stato assegnato a Karin Wanngård, kommunalråd alle finanze e già capo delle forze locali di centrosinistra durante le elezioni. Si tratta, però, per l’appunto, di un titolo non ufficiale e puramente rappresentativo, senza alcun valore legale o altro.

Nelle occasioni ufficiali, la persona con l’incarico di sindaco indossa la catena della città: ecco quella di Trelleborg. Foto di Erik Roman su licenza Creative Common

Al riguardo del se questo sistema sia migliore o peggiore di quello italiano, ormai quasi “presidenziale”, ognuno avrà le sue opinioni: da un lato, l’assenza di una singola persona ufficialmente responsabile dell’amministrazione può dare al cittadino la sensazione di avere a che fare con un apparato puramente burocratico, dall’altro si evita la personalizzazione della politica, con tutti gli aspetti negativi che la cosa porta.

E la Svezia dichiara il default finanziario…

Sicuramente nessuno lo avrebbe ritenuto possibile pochi mesi fa, ma le notizie di questi ultimi giorni lasciavano davvero poche via di uscita: con l’economia sconvolta dal recente pasticcio elettorale dello scorso autunno, e dal budget di primavera contrastante con quello di fine anno, le finanze del Regno sono andate letteralmente a bagno, mettendo il governo di fronte ad una difficilissima situazione.
L’impennarsi del debito pubblico rischiava infatti di lasciare la Svezia in difficoltà, soffocando la crescita nazionale e, soprattutto, di demolire quello che resta del welfare nazionale: di fronte a scelte che avrebbero tagliato le gambe alla popolazione, il primo ministro Stefan Löfven ha scelto, alla fine, la strada più clamorosa.
Il governo ha infatti dichiarato il default, una sorta di fallimento pilotato che permetterà alla Svezia di tirare avanti quasi senza problemi dopo una fase di transizione: in parole povere, la Svezia ha scelto di non pagare il conto e fare (quasi) finta di niente.

Ma come si è arrivati decisione? La cifra del debito non era certo enorme: ancora nel 2013 ammontava a 220 miliardi di dollari e, pur crescendo notevolmente nell’ultimo periodo, non può avere raggiunto numeri così devastanti. Si è trattato quindi di una scelta puramente politica, voluta per non cadere in politiche di austerity. Il Governo ha scelto addirittura di segretare la cifra esatta, per evitare strumentalizzazioni e polemiche: quello che è certo è che, fra i creditori che non vedranno quasi il becco di un öre ci sono tutte quelle aziende italiane che riforniscono lo stato svedese con derrate alimentari, pescato del Mediterraneo, tessuti, abbigliamento e tutte ciò che viene regolarmente esportato dal Bel Paese.

Come spera la Svezia di uscire dalla situazione? Tutto è stato programmato nel dettaglio. La notizia più clamorosa è, ovviamente, quella dello scioglimento del parlamento, della dissoluzione del governo e delle amministrazioni locali, nonché della temporanea sospensione delle garanzie costituzionazionali. In pratica, fino al settembre 2018 (quando si terranno le prossime elezioni), il Re tornerà a governare autonomamente il paese, con l’ausilio non vincolante di un consiglio di nobili che opereranno gratuitamente in nome della comunità. Tutto questo permetterà di eliminare per tre anni e mezzo i costi della politica, contribuendo quindi alla possibilità di rimpinguare le casse della nuova nazione.
Durante questa fase di transizione, quello della nobiltà sarà un ruolo fondamentale: conti, marchesi e compagnia si occuperanno infatti di gestire le province, raccogliere le tasse e amministrare le città, curare la manutenzione dei beni pubblici, e garantire il funzionamento dei servizi e della sanità. Tutto questo, a titolo puramente gratuito e onorifico, in cambio della restaurazione di tutti i privilegi disconcessi negli ultimi dieci anni. Qualcuno ironizza anche sul possibile ritorno dello ius prima noctis (che in realtà non è mai esistito), ma, chiaramente, non è previsto nulla di tutto ciò: i nobili svedesi hanno infatti giurato solennemente di gestire la nazione in maniera moderna, nel pieno rispetto delle persone, delle differenze di idee, della libertà di parola e del bene comune. La loro promessa è che tutto resterà come prima, solo che non ci saranno più i politici disonesti e incapaci.
Fra tutti questi nobili, un solo cittadino comune (non chiamiamolo “plebeo”) sarà ammesso nel consiglio reale: il sondaggista Karl “Kalle” Kaviar si occuperà di raccogliere e scremare via web le opinioni, le richieste e le idee dei sudditi di Svezia e propore regolarmente al Re, che (senza impegno) le valuterà al momento di prendere le sue decisioni. Kalle, sarà l’unica persona del consiglio a percepire uno stipendio, peraltro non particolarmente elevato.

Il concetto di nuova nazione, accennato brevemente sopra, è l’elemento fondamentale dell’operazione: con la data di oggi, il vecchio “Regno di Svezia” (Konungariket Sverige, 1523), smette quasi totalmente di esistere, e si porterà con sè i vecchi debiti per essere sostituito dal “Nuovo Impero Svedese del 2015” (Det Nya Svenska Imperiet – anno 2015), che acquisisce a titolo gratuito i possedimenti e i beni del vecchio stato. Il quasi totalmente di cui sopra è riferito al fatto che il comune di Bjurholm, il meno popoloso della nazione, diventerà l’unico territorio rimasto del Vecchio Regno, che sarà quindi ridotto al ruolo di città stato ed erediterà tutto il debito pre-esistente. I 2500 abitanti di Bjurholm hanno tempo fino alle 17 di oggi per emigrare al di fuori dal territorio comunale, assumendo così automaticamente la cittadinanza della Nuova Svezia: chi deciderà di restare potrà partecipare alla scelta di un nuovo Re per gli anni a venire. Qualcuno, però, parla già di “Re dei poveri”: i creditori potranno infatti recarsi nel territorio di Bjurholm e prendere possesso di ciò che più aggrada loro come parziale compensazione per i mancati pagamenti.

Il Re vero, quello che governerà dal Palazzo Reale di Stoccolma, continuerà a chiamarsi Re. Il buon Carlo Gustavo ha infatti stabilito che il chiamare il nuovo stato “Impero” è solo una necessità formale per lasciare un chiaro segno di discontinuità con il passato, e non ha alcuna intenzione di utilizzare il più pomposo (e, decisamente inadatto nella terra in cui tutto è lagom) titolo di Imperatore. Quello che cambierà sarà il suo nome: se nel vecchio regno era il sedicesimo a portarlo, in quello nuovo è il primo. Sparisce quindi il XVI.
Il Re, dicevamo, si è preso carico della nazione: avrà in mano l’intero potere esecutivo e legislativo, e si è impegnato a dare al suo governo (sempre, però, senza alcun vincolo) una linea politica di stampo socialdemocratico, nel rispetto delle ultime elezioni.

A ribadire la modernità e la multiculturalità della Svezia del 2015, alla Chiesa di Svezia è stato concesso il compito di amministrare, nel rispetto della legge, alcune aree troppo isolate per essere gestite direttamente dalla nobiltà, ma ruoli simili saranno concessi anche a congregazioni musulmane, ebree e associazioni culturali atee e razionaliste.

Un elemento chiave dell’operazione sarà la valuta: i due stati avranno ognuno la propria. Fra le due monete esisterà un rapporto identico a quello che c’era fra la Lira Sammarinese e quella Italiana: saranno di pari valore e valide in entrambi gli stati. Bjurholm, però, non potrá stampare moneta fino a che Stoccolma non avrà assorbito e sostituito con le nuove corone la quasi totalità delle vecchie in circolazione sul suo territorio.
I vecchi documenti saranno validi fino alla scadenza, ma non i passaporti, che saranno sostituiti gratuitamente con i nuovi passaporti imperiali nei prossimi giorni; mentre è stato già negoziato un accordo con l’UE che prevede l’inclusione automatica del nuovo stato all’interno dell’Unione.

Cosa ci aspetterà, quindi, in futuro? In questi tre anni e mezzo di transizione, la monarchia assoluta, illuminata e modernista di Carl Gustav potrebbe portare la Svezia verso una vera e propria età dell’oro economica, che vedrà un forte aumento dell’occupazione e un rafforzamento del welfare e delle politiche sociali. Il parlamento e il governo che erediteranno la Svezia dopo le elezioni del 9 settembre 2018, avranno sicuramente una grandissima chance di continuare questo lavoro partendo con la strada spianata.

Quello che è certo è che questo secondo default europeo (dopo quello islandese di qualche anno fa) potrebbe spianare la strada a percorsi simili per paesi in grossa difficoltà come la Grecia e l’Italia. Riuscite a immaginare la vecchia Repubblica Italiana ridotta al solo territorio di Lampedusa o Campione, con tutto il debito pubblico lasciato ai relativi residenti, e dei nuovi Stati Uniti d’Italia, senza alcun debito pubblico, magari con una nuova lira per valuta ed un economia pronta a ripartire? Una prospettiva da sogno, non pensate?

L’Accordo di Dicembre: niente elezioni a Marzo!

Come scritto poche settimane fa, il 29 dicembre ci sarebbe stato, da parte del primo ministro Stefan Löfven, l’annuncio ufficiale dello scioglimento delle camere, per indire, per la prima volta in cinquant’anni, delle elezioni anticipate.

Invece, non se ne farà nulla.

In questi giorni, i due grandi blocchi (i Rossoverdi e l’Alleanza) hanno infatti tenuto fitti colloqui per risolvere la crisi. In una grande conferenza che ha riunito tutti i partiti del parlamento, esclusi Sverigedemokraterna e la Sinistra, è stato appena annunciato quello che è stato definito come Decemberöverenskommelsen, l’Accordo di Dicembre.

Questo accordo porterà a questa situazione:

  • i due gruppi non si pesteranno i piedi: in primavera ci sarà una nuova votazione sul budget, e l’Alleanza si asterrà. La cosa permetterà al budget di centrosinistra di passare.
  • ci sarà un cambio delle regole. Dal momento che, con l’ingresso in Parlamento dell’estrema destra, il sistema proporzionale puro non garantisce più governabilità, si troverà un sistema per permettere ad un governo di minoranza di poter durare.

L’accordo è stato accolto con molta soddisfazione dalle due parti e, con più moderazione, anche dalla Sinistra, che appoggerà il nuovo budget primaverile.
Meno contenti, ovviamente, i Demokraterna, che hanno annunciato una mozione di sfiducia verso il governo. Inutile dire che non passerà.

Cosa c’è dietro quello che in Italia verrebbe chiamato “inciucio”? L’aspetto fondamentale è quello della governabilità: gli svedesi hanno sempre voluto (e avuto) una situazione di stabilità. Qui è praticamente un dogma: si accetta la vittoria degli altri, si protesta, ma li si lascia governare, nel rispetto delle regole democratiche.
Più realisticamente, c’è poi la paura che i Demokraterna continuino a fare il pieno di voti, confermandosi forza di ricatto che possa pregiudicare il governo di ciascuna delle due parti.
I due grandi blocchi hanno annunciato di avere trovato un accordo sulle politiche dell’immigrazione, ed è da vedere se questo contribuirà a ridurre il successo dell’estrema destra.
Ne riparleremo, però, fra quattro anni.

Di elezioni, mancate (?) elezioni e atti di guerra

Come preannunciato qualche giorno fa, torno ad avere un ruolo più attivo sul blog, cominciando con un piccolo riassunto di alcune cose importanti di questi giorni.

Con colpevole ritardo, vi racconto della mia prima esperienza come elettore svedese con cittadinanza. Per la prima volta, infatti, lo scorso settembre ho potuto votare non solo per le amministrative, ma anche per il Parlamento.
Rispetto a quanto scritto in passato per altre consultazioni, è cambiata solo una cosa: ho votato in anticipo. In Svezia, infatti, è possibile decidere di andare a votare per parecchi giorni, prima del giorno effettivo delle elezioni. Il mio voto è avvenuto il 12 settembre, nel centro commerciale di Caroli. L’unica differenza rispetto al passato (vedi anche il mio primo post sulle elezioni) è appunto questa: per il resto, assolutamente uguali il senso di informalità e apparente mancanza di segretezza (ho persino espresso il voto in una cabina senza tendina, perché non avevo voglia di aspettare che se ne liberasse un’altra).
Del risultato, forse avrete saputo: dopo otto anni di centrodestra, hanno vinto i Socialdemocratici, ma con una maggioranza decisamente minore rispetto alle europee di primavera. Il primo passo è stato di scaricare i compagni del Partito della Sinistra per formare un governo (di minoranza, come il precedente) con i soli Verdi, più flessibile e disposto a negoziare con i partiti di centro.
I veri protagonisti delle elezioni sono, però, i soliti Sverigedemokraterna, ormai divenuti il terzo partito di Svezia. Questa vittoria sembra però essere costata cara a Jimmie Åkesson, che pochi giorni fa si è sospeso a tempo indeterminato dalla guida del partito per via di un esaurimento nervoso.
Per il nuovo primo ministro Stefan Löfven si preannunciano però tempi duri: mentre il suo predecessore Reinfeldt aveva potuto contare spesso sull’appoggio esterno di Sverigedemokraterna, per lui non sarà così.

Decisamente più sfortunata, a quanto pare, l’esperienza elettorale italiana legata ai Comites. Questi ultimi, originariamente istituiti a metà anni ’80, sono un’istituzione che ha assunto via via un’importanza sempre maggiore a seguito dei tagli sulle spese di rappresentanza consolare e allo smantellamento di buona parte dei consolati. In pratica, un modo del governo per risparmiare, affidando a cittadini non retribuiti il compito di fare da intermediario fra gli altri cittadini e i consolati. Il problema è che la procedura per costituire una lista per le elezioni dei comitati ha dell’assurdo, se pensiamo che siano nel 2014. In pratica, cento persone devono firmare di fronte al console o suo rappresentare sottoscrivendo la lista di candidati. Ora, viste le questioni geografiche, la scarsa disponibilità dei consoli e la poca informazione, questa impresa è parecchio difficile, e il risultato è che la FAIS ha dovuto rinunciare a presentare la sua lista. Non so, a questo punto, se qualcun altro riuscirà a farlo: in assenza di liste non si tengono le elezioni, ed ecco che gli Italiani in Svezia finirebbero col non avere un loro comitato di cittadini.
Oltre al danno (una rete consolare pessima), la beffa.

Infine, chiudiamo con la grande notizia di questi giorni. L’esigua Marina Militare svedese è interamente impiegata da venerdì pomeriggio in una grande operazione di intercettazione fra i fiordi dell’arcipelago di Stoccolma. Pare che una “potenza straniera” abbia infatti inviato dei sottomarini a fare operazioni nei fondali svedesi. Forse una semplice provocazione, forse un intervento per rimpiazzare, aggiornare o riparare le armi e dispositivi di spionaggio che si sospetta essere segretamente installati dai tempi della guerra fredda. Una delle cose degne di nota è il codice deontologico della stampa: dato che non c’è una conferma ufficiale, anche se è chiaro a tutti di chi si tratti, il nome della “potenza straniera” non viene quasi mai riportato apertamente, se non con trucchetti vari (del tipo “i giornali russi non fanno nome della Russia negli articoli sulla caccia al sottomarino”). Dopo diverse provocazioni coi caccia e addirittura una simulazione di attacco nucleare, pare che lo Zar ci stia prendendo gusto e, sicuramente, nei prossimi mesi si riaccenderà il dibattito fra la minoranza che vorrebbe la Svezia nella NATO e chi spinge per ricostruire un esercito e una marina degne di questo nome.

Da DN.se
Da DN.se

Voto Europeo

Per la seconda volta da quando sono qui, la prima da quando sono cittadino svedese, domenica ho votato a delle elezioni in Svezia.
L’essere cittadino, per una volta, non ha implicato cambiamenti sostanziali: tutti i cittadini europei che risiedono qui potevano infatti decidere se votare per una lista del proprio paese d’origine (in locali allestiti dai consolati) o per una lista svedese.
L’unica differenza è che chi è senza la cittadinanza doveva esplicitamente iscriversi alle liste elettorali locali (rispondendo a un modulo inviato a casa) mentre noi abbiamo ricevuto automaticamente l’opportunità di farlo in entrambe le modalità. Ovviamente, in osservanza al principio “una testa un voto” votare per entrambi i sistemi è un reato, quindi bisognava guardarsi bene dal farlo.
Io, come molti altri residenti, ho scelto di votare “da svedese”: non solo era più pratico, ma mi sono risparmiato un certo senso di orrido.

Il mio certificato elettorale riportava le indicazioni sulla scuola in cui votare oltre alle istruzioni su cosa fare nel caso non sia possibile andare a votare nel giorno stabilito.
Sì, perché, cosa molto conveniente, volendo si poteva votare in anticipo in alcuni centri preposti, già a partire dal sette maggio. L’affluenza complessiva è stata, alla fine, decisamente buona, superiore al 50%: forse il fatto di considerarla una prova generale per settembre ha aiutato.

In coda per il voto anticipato al centro commerciale Triangeln
In coda per il voto anticipato al centro commerciale Triangeln

In una Svezia che è concentrata sulle elezioni nazionali di settembre, la campagna per le Europee ha preso piede veramente solo nelle ultime settimane. Al momento l’approvazione degli svedesi per l’UE è minima, e l’interesse di molti per queste consultazioni era scarso.
Se alcuni partiti minori radicali hanno invitato apertamente al boicottaggio delle elezioni, non presentandosi, altre forze dichiaratamente anti Unione Europea, come gli ex comunisti del Vänsterpartiet o i nazionalisti degli Sverige Demokraterna, hanno deciso di esserci per imporre la propria linea in quel di Strasburgo.
Una nota positiva della campagna elettorale è sempre l’atteggiamento della stampa: mai deferente o compiacente e il più delle volte pronta a fare domande vere ai candidati.

Le schede elettorali prestampate. Notare le professioni. Pochissimi politici a tempo pieno.
Le schede elettorali prestampate. Notare le professioni. Pochissimi politici a tempo pieno.

Domenica nel tardo pomeriggio mi sono recato al seggio. A quattro anni e 650 km di distanza, poco è cambiato rispetto alla mia precedente esperienza: ambiente rilassato, niente forze dell’ordine a vista, “cabine” elettorali che sono dei semplici trespoli, schede elettorali prestampate che si possono prendere liberamente da un banchetto o che vengono distribuite da volontari (quasi in assenza di segretezza del voto), e tanti piccoli particolari che rendono tutto più tranquillo rispetto alle più tese situazioni italiane. Avendo già descritto tutto quattro anni fa, non vi tedio con le ripetizioni e vi rimando direttamente all’articolo che scrissi allora.

I risultati sono stati quelli che più o meno ci si attendeva, anche se il crollo dei Moderati e della loro maggioranza è stato davvero clamoroso. Bene il centrosinistra, mentre, dall’altra parte, si è purtroppo rinforzato il ruolo dei Democratici Svedesi. La novità di questa tornata è rappresentata da Iniziativa Femminista, che ha conquistato un seggio, mentre il Partito Pirata (che aveva fatto scalpore alle elezioni precedenti) questa volta non ce l’ha fatta.
Se i numeri saranno confermati alle prossime elezioni, probabilmente a settembre avremo un governo a guida socialdemocratica, con l’appoggio (esterno o interno) del Vänsterpartiet, dei Verdi e di almeno uno fra il Partito Popolare Liberale ed Iniziativa Femminista.
Ne riparleremo in autunno.

Governo di minoranza

L'aula del Riksdag
L’aula del Riksdag
(Wikipedia, GFDL)
In Svezia, il governo di Reinfeldt non ha la maggioranza, nè l’ha mai avuta, sin dal giorno delle elezioni.
Nonostante ciò, è riuscito ad ottenere la fiducia* e, insieme alla sua Alleanza di centro-destra, governa senza troppi scossoni da due anni e mezzo.
In qualunque momento, tanto il governo quanto i singoli ministri potrebbero ricevere un voto di sfiducia, ma la cosa non succede: Reinfeldt e i suoi uomini negoziano le proprie proposte con i partiti dell’opposizione di centro-sinistra o considerano la posizione degli Sverige Demokraterna, il partito estremista anti-islamico ed anti-immigrazione con cui, però, non esiste alcun dialogo (formale o informale).
Il sistema, senza troppe sorprese, funziona: i partiti svedesi preferiscono pensare alla stabilità nazionale che ai loro interessi e ritengono che, in tempi di crisi, la priorità assoluta sia di avere un governo solido.
Tutto questo senza isterismi, insulti e sceneggiate. Come in qualunque paese normale che si rispetti.

* tecnicamente parlando, la prima fiducia viene data al Presidente del Parlamento al momento della presentazione del nome del primo ministro designato. Il Presidente (Riksdagen talman, traducibile come “portavoce” o, in inglese, speaker) è la seconda carica del paese dopo il re, la prima elettiva e sta al di sopra del governo. Presiede la camera (unica) senza partecipare alle discussioni e alle votazioni (salvo remoto caso di pareggio dei voti) e spetta a lui il compito di effettuare le consultazioni per la scelta del premier.

Vota Antonio, Vota Antonio!

A chi, nelle ultime settimane, non è capitato di ritrovarsi i social network intasati di indicazioni di voto da parte di amici, parenti e conoscenti (e mi aggiungo all’elenco dei responsabili)?

Chi non si è ritrovato in una cena fra amici in cui, inevitabilmente, si finisce col parlare di Berlusconi, Grillo, Bossi, Monti e compagnia?
Ecco, in Svezia tutto questo non succede. Mia moglie mi ha detto più volte di essere rimasta sorpresa di quanto gli italiani parlino sempre di politica: ad esempio non le è proprio mai capitato di trovarsi ad una cena con amici, anche i suoi amici più cari, e discutere di questo o quel ministro, parlamentare o candidato.
Personalmente, poi, non mi è mai capitato di parlare con uno svedese che lasciasse trapelare le sue simpatie o le sue intenzioni di voto. Helena è l’unica persona di cui conosco le scelte. Neanche mio suocero, che pure è uno cui piace dire la sua su molte cose, mi ha mai fatto una “lezione di politica”.

Qualche anno fa scrivevo su queste pagine:

Anche la questione della segretezza del voto, che per noi è quasi un dogma, è, apparentemente, meno sentita.

La cosa, però, vale soprattutto per quanto riguarda la rilassatezza delle procedure di voto.
Quando si tratta di vita sociale, in Svezia la politica sembra essere un tabù, uno di quegli argomenti che non si toccano mai.
A meno di casi particolari (mi viene di pensare ad un attivista, ma non ne conosco nessuno), sentire un amico o un parente che ti dice “mi raccomando, vota XXXX, che se no…” è praticamente impossibile. E sarebbe quasi inaccettabile a livello sociale.
Per carità, non è che ci sia disinteresse, ma evidentemente si preferisce maturare le proprie convinzioni in riservatezza, anziché discuterne in pubblica piazza.
Insomma, ad una qualunque cena con amici, in Svezia si parla di sogni, viaggi, musica, interessi, futuro e passato. Forse hanno capito qualcosa più di noi, sul vero senso della vita?

Dovere effettuato

Schede elettoraliSecondo le indicazioni della Farnesina, l’ultimo giorno utile per spedire le schede elettorali agli aventi diritto, da parte delle cancellerie consolari, era il 6 febbraio.
Conoscendo la celerità delle Poste Svedesi, che consegnano tutto in un giorno, se il plico non mi fosse arrivato ieri avrei cominciato a preoccuparmi. Anzi, in realtà, un po’ preoccupato lo ero già: solo di recente mi sono ricordato di comunicare il mio ultimo cambio di residenza e temevo che qualche intoppo potesse complicare le cose.
Invece la cancelleria di Stoccolma ha fatto (come al solito, devo dire) bene il suo lavoro e ieri sera ho trovato il plico nella cassetta della posta.
Rispetto all’ultimo Referendum, la mia prima occasione di voto all’estero, è cambiato molto poco: nella busta c’erano due fogli in più, con l’elenco dei candidati di ogni lista, uno per la Camera, l’altro per il Senato. All’estero, a differenza che in Italia, si possono esprimere le preferenze.

Per il resto, le regole sono le stesse.
Le due schede vanno infilate dentro una busta bianca anonima (tutto il materiale è contenuto all’interno del plico), ovviamente dopo avere apposto la propria indicazione di voto: questa operazione può essere effettuata con una biro nera o blu. Non serve, quindi, la matita copiativa!
Un foglio è composto dal certificato elettorale e dal tagliando elettorale: quest’ultimo, che è anonimo ma contiene un identificativo numerico, va ritagliato e infilato, assieme alla busta bianca, dentro la più grande busta beige preaffrancata. Il certificato va conservato.
Ieri sera ho effettuato al volo l’operazione e, a partire da questa mattina, il tutto è già in viaggio con direzione Stoccolma.
Curiosità: l’intera operazione si effettua tramite posta ordinaria. Non è (solo, immagino) necessità di risparmio ma, soprattutto, di protezione dell’anonimato di chi vota.
Pena invalidazione, sulle due buste non va apposto alcun segno, tantomeno l’indirizzo del mittente.

Referendum: si vota!

Buste e schede
La settimana scorsa ero stato ancora all’Ambasciata per fare una procura al fine di vendere il mio appartamento a Milano (costo totale: 320 corone, molto meno di quanto prendono i notai in Italia).
Già che c’ero, ovviamente, ho chiesto una volta di più informazioni sul voto a distanza per il referendum.
Le risposte sono state ancora una volta nebulose (“dovrebbe poter votare, ma non lo sappiamo con certezza”), seguite da un ben poco rassicurante “Per questa votazione il Ministero dell’Interno ha deciso che prendono tutto in mano loro!”.

Dopo aver passato qualche giorno nell’incertezza, oggi la grande sorpresa: nella casella della posta c’era una busta inviata dall’Italienska Ambassaden. All’interno, le quattro schede referendarie, una busta beige preaffrancata, una busta bianca, un foglio di istruzioni e uno che contiene il certificato elettorale e il tagliando elettorale da ritagliare.
Le istruzioni sono molto semplici: devo votare con biro blu o nera sulle schede, infilarle nella busta bianca, infilare la busta bianca all’interno di quella beige assieme al tagliando elettorale e spedire tutto all’indirizzo prestampato. Il tutto deve arrivare entro il 9 giugno ma, con le Poste Svedesi, non dovrebbero esserci problemi.
Inutile dire che ho già votato e che al più tardi domani mattina provvederò ad imbucare la busta!
La mia prima volta da Italiano all’estero… sperando solo non sia inutile!