Ieri a Malmö è successo questo

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Quando ieri sera è iniziata ad emergere la voce che lo squilibrato potesse essere italiano (o, quantomeno, provenire dall’Italia), sui gruppi di Italiani in Svezia su Facebook c’è stato un misto di:

  1. ilarità e sarcasmo (“basta con questi immigrati!”)
  2. dubbio (“probabilmente non è un vero italiano, sarà sicuramente arrivato dall’Uzbekistan”)
  3. sdegno (“perché se è dell’Uzbekistan non te lo dicono per non alimentare il razzismo*, mentre se è italiano sì? Questo è il vero razzismo!”)

A me pare semplicemente che il fatto che la Polizia e la stampa si siano affrettati a comunicare la cittadinanza, una volta appurata, sia semplicemente una testimonianza della buona reputazione degli italiani: con la comunicazione, e l’ho notato anche fra i miei colleghi, tanta gente si è tranquillizzata.

Meglio così.


* In realtà, in casi come questi, lo dicono lo stesso, ma vaglielo a spiegare.

Cose che hanno del surreale

Foto ufficiale dal sito del Parlamento svedese
Foto ufficiale dal sito del Parlamento svedese
A Malmö la criminalità è ormai completamente fuori controllo.
Gli ultimi avvenimenti nel giro di pochi giorni sono stati: un dipendente comunale cui hanno sparato mentre spargeva sale nel Parco di Pilldamm di prima mattina, una donna violentata di sera nel parcheggio del centro commerciale Mobilia (in orario di apertura), un tipo ucciso ieri nel tardo pomeriggio in piena Möllevångstorget (una piazza centrale, molto viva e frequentata) vicino ad un ristorante.
Polisen non è assolutamente in grado di gestire l’emergenza, che le è da tempo sfuggita di mano.
Oggi attendevamo con ansia la visita del ministro degli interni.
Ecco, sapete cosa è riuscito a fare questo signore, il socialdemocratico Anders Ygemans?

È riuscito a prendersela con i cittadini poco responsabili che si fanno tagliare i capelli per 50 corone.

Se la cosa non avesse del tragico, ci sarebbe di che ridere.

 

Siamo in una botte di ferro!

Se a volte vi disperate per l’incompetenza delle autorità italiane, consolatevi: quelle svedesi possono essere anche peggio.
L’antefatto di questa storia sono, purtroppo, i tristi eventi di Parigi. Come potete immaginare, anche in Svezia il livello di guardia è stato elevato per rispondere alla minaccia terroristica.
Giovedi 18 novembre, in una grande conferenza stampa, la Säpo (Polizia per la Sicurezza interna, ovvero i servizi segreti) annuncia di essere in caccia di un pericoloso terrorista, entrato in Svezia da un paio di settimane dopo essere stato a combattere per Daesh (lo chiarisco una volta per tutte: da questo momento in poi non mi vedrete mai usare IS, ISIS o Califfato). Il nome e l’identikit non vengono però passati al pubblico. 

Il giorno dopo, il tabloid Expressen pubblica il nome della persona e una sua foto sfuocata, ottenuti in maniera anonima da una fonte interna alla polizia.
La foto e il nome vengono diffusi da tutti i siti web: una signora riconosce il sospetto su un autobus e informa la polizia. A quel punto parte l’operazione di cattura, che avviene nel centro rifugiati di Boliden (Skellefteå).
Il sospetto viene prima interrogato in loco, e poi trasferito a Stoccolma.

Ora… durante le investigazioni giornalistiche ci si comincia a rendere conto di qualcosa. Il ragazzo era registrato presso Migrationsverket da settembre, e risiede nel suo appartamento regolarmente. Ha anche il nome sulla porta. Ha un profilo Facebook con foto di qualità decente, molto migliori di quella sfuocata che era stata fornita alla polizia.

La domanda che tutti si sono posti è stata ovviamente: ma era proprio necessario fare una conferenza stampa, aumentare il panico a livello nazionale e scatenare la polizia del paese in una caccia all’uomo, quando bastava controllare con Migrationsverket l’indirizzo della persona? Ed era il caso di dare alla polizia una sola foto sfuocata, quando bastava andare sul suo profilo Facebook e scaricarne di molto migliori?

La risposta di Säpo non si è fatta attendere…un messaggio su Twitter della responsabile stampa che dice:

Il lavoro di investigazione consiste in molto più che il profilo Facebook e la targhetta col nome sulla porta. Säpo e la Polizia hanno valutato le informazioni raccolte e agito di conseguenza.

Säpo

Insomma, una meravigliosa non-risposta!

Pensate che la storia finisca qui? Non proprio: diversi criminologi ed esperti sollevano dubbi sul comportamento del giovane, che non è quello di chi sia braccato. Perché non è fuggito? Perché non si è armato? Perché ha continuato a vivere normalmente come prima? Un genio del sangue freddo?
Qualcuno va in Iraq ad intervistare il padre, e questo casca dalle nuvole, negando ogni radicalizzazione nella sorpresa più totale. “L’ho mandato io in Svezia, nella speranza che si faccia una vita migliore”.

Oggi, dopo l’interrogatorio, il ragazzo è stato rilasciato, e tutte le accuse nei suoi confronti sono cadute.
Siamo in una botte di ferro!

Rinnovi

In questi giorni ho letto un paio di storie di conoscenti che hanno avuto difficoltà con il rinnovo dei loro documenti in Italia. Vi racconto brevemente cosa ho dovuto fare in Svezia, dato che, prima dell’estate, ne ho dovuti rifare due. 

La patente
La mia patente era ancora validissima, ma, avendola evidentemente maltrattata, il tesserino aveva iniziato a spaccarsi. Dopo avere controllato la procedura sul sito Körkortsportalen ho proceduto a chiamare l’assistenza clienti di Transportstyrelsen. La gentile operatrice mi ha detto: “nessun problema, facciamo il rinnovo, ti mando tutto a casa”. Mi è arrivato quindi un modulo pressoché identico a quello utilizzato per la conversione: ho dovuto allegare una foto, firmare, pagare un bollettino di 220 corone e rispedire tutto indietro. Il primo tentativo non è andato bene, perché la foto che mi ero scattato da solo, come quella della patente precedente, non era illuminata in maniera uniforme (ed effettivamente era vero, l’ho notato solo quando me l’hanno rispedita). Invece che sistemarla e rimandarla, nel dubbio, ho preferito farne una nuova in una cabina. Detto fatto, nel giro di pochi giorni mi è arrivata la patente nuova, scintillante e rinnovata per altri dieci anni. E la visita medica? Qui non si fa. O, meglio: la fanno i neopatendandi la prima volta e poi basta. Saranno i medici che ti visiteranno nel corso della tua vita, quelli del tuo vårdcentral o dell’ospedale, a dovere comunicare a Transportstyrelsen eventuali divieti di guida nel caso la tua salute dovesse peggiorare. Lo fanno? Non sempre. Personalmente conosco il caso di una persona colpita da ictus che, per tre mesi, ha effettivamente avuto il divieto di guida, divieto revocato solo dopo una visita successiva che ne ha appurato la completa riabilitazione. Ma non tutti i dottori sono così zelanti e, di tanto in tanto, si leggono articoli (eccone uno) che raccontano di come Transportstyrelsen si lamenti della poca diligenza dei medici… e questo nonostante un cambio delle regole che nel 2012, ha imposto il divieto non solo alle persone “apertamente inadatte” ma anche a quelle “inadatte” e basta.
Piccola postilla.. come al solito, ho dovuto presentare un documento svedese per ritirare il nuovo documento svedese alle Poste (o, meglio, al negozietto di alimentari che fa le veci delle Poste), nonostante quest’ultimo non venga consegnato in busta chiusa. Unica assurdità (ma lo sapevo già) di un sistema che per il resto è liscio come l’olio.

La carta d’identità
Anche la mia carta d’identità svedese (quella nazionale, valida per l’espatrio) era validissima… ma un giorno non l’ho trovata più e, dopo una settimana di ricerche, ho deciso di comunicare alla Polizia di averla persa. Ovviamente, l’ho ritrovata il giorno dopo, ma, a quel punto, non era più valida e ho dovuto richiederne un’altra. Anche in questo caso, la procedura è stata pressoché identica alla prima volta: vai alla Polizia, paghi loro 400 corone (nota per il futuro: tieni meglio i documenti svedesi), ti fai fotografare lì, e, dopo circa una settimana, ti arriva l’sms che dice che puoi andare a ritirarla, sempre alla Polizia. Insomma, tempi più lunghi e costi più alti che in Italia, ma, almeno, invece che un enorme pezzo di carta ripiegato ho un pratico tesserino che sarò libero di smarrire nuovamente alla prima occasione utile…

Eccole qua, in tutto il loro "splendore"
Eccole qua, in tutto il loro “splendore”

Giornalismo scandinavo

Due articoli (anzi, tre) mi hanno colpito parecchio in questi ultimi giorni, ad evidenziare le differenze fra il giornalismo italiano e quello di queste parti.

Ultimamente, una truffa telefonica ormai classica, quella di chi ti telefona spacciandosi per un tecnico di Microsoft, al fine di carpire informazioni personali o fare installare sul tuo PC software malevolo, ha iniziato a colpire la Danimarca con chiamate provenienti dal prefisso +39.
Ora, noi sappiamo tutti che quel prefisso rappresenta l’Italia, lo sanno probabilmente molti danesi e sicuramente tanto la polizia quanto i giornalisti che hanno scritti i pezzi… eppure, in nessuno di questi due articoli danesi, in cui la Politi invita a non fornire informazioni personali e ad ignorare le richieste di queste persone, l’Italia viene nominata neanche di striscio.

Politiet advarer borgerne mod at give personlige oplysninger til fremmede over telefonen

Politi: Tag ikke telefonen, hvis nummeret begynder med +39

Se il messaggio della Politi è sicuramente un po’ eccessivo (“vi consigliamo di non rispondere e di non richiamare se il numero inizia con +39”), e rischia di creare problemi a chi fa chiamate lecite dall’Italia, è sicuramente positivo il fatto che il nostro paese non venga mai menzionato. In fondo questa è un’organizzazione internazionale che utilizza diverse teste di ponte sparse per il mondo, e l’Italia, in sé, non c’entra nulla: inutile, quindi, seminare potenziale odio verso il paese.
La stampa italiana, sicuramente, non ricambierebbe la cortesia.

Migranti dall'Europa (C) Skånskan
Migranti dall’Europa
(C) Skånskan
E poi, questo articolo, questa volta svedese. Il titolo dice che, in vista dell’arrivo della tempesta Alexander, a Malmö il comune ha “aperto un luogo di riparo per i migranti provenienti dall’Europa”. Se il titolo può lasciare nel dubbio, aprendo l’articolo si legge chiaramente “i migranti dell’unione europea che vivono in diversi accampamenti di tende”. Ora, chi siano questi migranti è chiaro a tutti ma non viene mai nominata l’etnia delle persone. Posso immaginare che la stampa italiana, invece, sguazzerebbe nella situazione, come fa regolarmente: certi argomenti controversi vendono copie e clic. Sono piccoli accorgimenti, basta la scelta meditata di evitare termini e riferimenti che possano scatenare gli istinti più bassi delle persone peggiori, e le cose cambiano parecchio.

Peraltro, qui, il fenomeno di questi “migranti”, in questi termini, è assolutamente nuovissimo: sono arrivati nell’ultimo periodo, per lo più proprio dall’Italia (e, sicuramente, aiutati da organizzazioni criminali che li sfruttano), dove non riuscivano più a tirare avanti.
In Svezia, come in quasi tutti i paesi dell’europa occidentale, i campi nomadi lager all’italiana non esistono, e gli appartenenti alle varie etnie romaní vivono il più delle volte in normali abitazioni.
Onestamente, però, è stata un’esperienza quasi surreale l’essere approcciati più volte in italiano nell’ultimo anno, da parte di questuanti che non avevano alcun modo di conoscere la mia nazionalità d’origine.

Ma, tornando alla stampa, pur essendoci comunque delle grandi differenze fra quella svedese e quella danese, in particolare nei riferimenti alle nazionalità di chi commette i crimini, mi sembra che i giornalisti scandinavi non abbiano quella tendenza a scrivere articoli che facciano emergere fra i lettori il lato peggiore dell’umanità… una tendenza che trovo invece spesso nei loro colleghi italiani, anche quelli che esprimono posizioni progressiste.
E, sinceramente, apprezzo molto di più l’approccio nordico.

D'altronde... (da kotiomkin.it)
D’altronde…
(da kotiomkin.it)

Accadde a Kirseberg

La vita nella ridente Kirseberg procede eccitante e piena di eventi interessanti.
Ecco alcune delle cose successe negli ultimi mesi nel nostro palazzo e dintorni:

  • Siringhe trovate appena fuori dalla sala lavanderia;
  • La porta del nostro dirimpettaio imbrattata di ketchup (?), quasi come una possibile minaccia;
  • Abbiano sorpreso un tossicodipendente (estraneo al palazzo) a  dormire  strafatto sul davanzale di una delle finestre (chiusa) del vano scale. Inutile dire che ad un certo punto è  anche caduto rumorosamente per terra;
  • Tentativo di effrazione nel nostro scantinato in soffitta. Per fortuna il lucchetto ha tenuto, anche se è rovinato e non riusciamo più ad aprirlo;
  • La polizia nelle nostre scale per raccogliere prove dopo un qualche atto violento;
  • Una macchina data alle fiamme, sotto la finestra del salotto, più altri 7 incendi nella zona nel giro di 48 ore.
  • Ripetuti schiamazzi notturni
  • La polizia spesso sotto il portone di casa: nell’ultima occasione, questo fine settimana, c’erano un auto borghese, tre auto “normali” e una camionetta

Insomma, dopo l’entusiasmo iniziale per il nostro sospirato appartamento di prima mano, siamo nella fase in cui stiamo decidendo il da farsi. La tentazione è di scappare dalla zona, se non da Malmö stessa, anche a costo di tornare a vivere in un subaffitto. Vedremo nei prossimi mesi…

Ketchup (?)
Ketchup (?)
Dopo le fiamme
Dopo le fiamme
Auto incendiata
Auto incendiata
La polizia sotto casa
La polizia sotto casa

Il ponte

Per chi mi chiede cosa ci sia di bello da guardare sulla televisione svedese, segnalo una serie che mi ha folgorato di recente: una spettacolare coproduzione poliziesca svedo-danese intitolata Bron/Broen (“il ponte”).

Nonostante sia ambientata fra Malmö e Copenaghen, e quindi praticamente a casa mia, l’avevo inizialmente snobbata: mi era capitato di vedere uno spezzone di episodio a serie iniziata e avevo avuto l’impressione di trovarmi di fronte a qualcosa di terribilmente deprimente.
Nulla di più sbagliato! Riscoperta tramite Netflix, e vista dall’inizio, la serie ti cattura da subito con una tensione incredibile, una trama avvincente e grandi personaggi.

Bron

I protagonisti sono tre: una detective svedese fiscale ed asociale (si intuirà in fretta essere colpita dalla sindrome di Asperger), la sua controparte danese (un poliziotto amichevole e umano, ma chiaramente disastroso nella gestione della vita sentimentale) e, ovviamente, il gigantesco e silenzioso ponte di Öresund, che dà il titolo alla serie ed è teatro di molte scene cardine.
La prima stagione è davvero d’alta scuola: pochissimi effetti speciali, nessun imbellimento, suspence e colpi di scena determinanti.
La seconda ha un impatto iniziale minore (e, forse, qualche incongruenza) ma è comunque notevole nel crescendo.
In ogni caso, roba da tenerti inchiodato di fronte allo schermo!

La serie gioca talvolta sugli stereotipi delle differenze fra i rigidi svedesi e i libertini danesi, ma lo fa senza indulgervi, ed anche per questo è estremamente godibile, grazie anche all’ironia di certi dialoghi e situazioni.
In ogni caso, non aspettatevi solarità e lieto fine a tutti i costi.

L’unica cosa poco credibile di Bron è il parlato: non solo non c’è quasi traccia dello skånska, ma svedesi e danesi comunicano nella rispettiva lingua senza mai alcun problema di comprensione (salvo una scenetta nel primo episodio, messa lì per sbarazzarsi della questione).
D’altronde si è trattato praticamente di una scelta obbligata: le alternative sarebbero state di recitare in inglese (scelta fattibile ma poco “nazionale”) o moooooolto lentamente e con continue ripetizioni. Per fortuna ci sono i sottotitoli!

E, a proposito di sottotitoli, la serie è stata trasmessa dalla BBC con il titolo The Bridge, quindi si trova senza problemi con testo inglese.

Bron è talmente bella che gli americani ne hanno fatto un remake, chiamato anch’esso The Bridge e ambientato fra Texas e Messico: non l’ho visto e non ho, in tutta sincerità, troppe intenzioni di farlo; purtroppo sospetto che in Italia sia arrivato quello e non l’originale, ma forse è bene così: l’ottima interpretazione di Sofia Helin e Kim Bodnia risulterebbe probabilmente uccisa dal doppiaggio. Anche inglesi e francesi hanno fatto un remake di Bron, intitolato, con molta fantasia… (The) Tunnel.
Magari nel frattempo sarete fortunati al punto di avere un rifacimento italo-austriaco a titolo Broennero; personalmente, mi tocca aspettare fine 2015 per la terza stagione dell’originale!

Su Stoccolma, Husby, etc.

Per tutti quelli che mi stanno chiedendo info su cosa sta succedendo, segnalo questo ottimo post di Mauro Boffardi, che vive da quelle parti.

La rivolta di Husby | Boffardi2.1.

Passaporto e carta nazionale d’identità

©  PRADO
© PRADO

Ancora scioccato per avere ottenuto la cittadinanza in soli sette giorni (Migrationsverket ha ricevuto la mia raccomandata il 13 maggio, la delibera è del 20), anzichè i lunghi mesi preventivati, il passo successivo è stato, ovviamente, di richiedere il passaporto. Non che non abbia già quello italiano, ma ci si sente anche un po’ orgoglioni a potere dire di avere, appunto, il “doppio passaporto”.

Come tutte le altre nazioni dell’Unione Europea, la Svezia ha da qualche anno abbandonato il colore nazionale della copertina (che era blu e oro) per adottare quel rosso borgogna che è lo standard europeo. Ovviamente i nuovi passaporti sono tutti biometrici e contengono il chip con le informazioni personali in formato elettronico.
Conoscendo già quello di Helena, devo dire che la differenza principale rispetto al passaporto Italiano è che la foto è stampata in bianco e nero, mentre lo stile generale è più essenziale, con le pagine meno “pasticciate” e più eleganti.
Il passaporto svedese costa 350 corone (circa 41 euro) e vale cinque anni; ovviamente non sono previsti bolli annuali o altre porcate simili.

Carta nazionale d'identità  ©  PRADO
La Carta Nazionale d’Identità
© PRADO

Come in altri paesi, esiste anche un’alternativa al passaporto: la carta nazionale d’dentità, rilasciata anch’essa dalla Polizia e solo a chi ha la cittadinanza. Il rapporto degli Svedesi con questo tesserino è molto particolare: la stragrande maggioranza di loro, infatti, non sa neppure che esista. Il documento è infatti stato indrodotto solo di recente (2005), non è obbligatorio (a differenza che in Italia) e non offre vantaggi particolari rispetto a quella che è l’accoppiata standard “passaporto + patente (o altro tipo di id)”.
Chi mi legge da tempo sa che in Svezia esistono diversi tipi di carte d’identità con valore legale che, a differenza della nationellt possono essere richieste anche da chi non è cittadino: la più comune è quella di Skatteverket, che io stesso ho avuto e poi smarrito, ma anche le banche hanno l’autorizzazione a rilasciare id.
Le carte d’identità alternative hanno una caratteristica: sono valide per l’espatrio solo nei paesi del Nordens. Gli Svedesi possono infatti andare in Danimarca, Norvegia, Finlandia, etc. (e viceversa) anche solo con la patente, o con qualunque documento abbia validità ufficiale.
La carta nazionale, invece, permette l’espatrio in tutti i paesi dell’Area Schengen, ma non, un po’ a sorpresa, in quelle nazioni che fanno “solo” parte dell’Unione Europea. Può essere, insomma, utilizzata per andare in Svizzera, ma non in Inghilterra.
Come potete immaginare, la serie di fatti sopra esposta rende piuttosto superfluo avere questo documento, che è stato ideato probabilmente solo ed esclusivamente per rispondere ad alcune esigenze venitesi a creare con l’adesione svedese a Schengen: Wikipedia riporta, senza specificare una data, che solo circa 100.000 i cittadini svedesi che ne sono in possesso.
Io ho deciso di richiederla comunque, un po’ perché sono un Italiano abituato ad avere la carta d’identita`, un po’ perché penso che sia comodo potere andare all’estero usando un documento che si può tenere nel portafogli (è un tesserino con chip), anzichè l’ingombrante passaporto.
La nationellt id-kort costa 400 corone (46 euro) e ha validità di cinque anni. Esattamente come il passaporto viene rilasciata dalla Polizia, e i due documenti possono essere richiesti in un’unica sessione.

Ieri pomeriggio, quindi, finito di lavorare, sono andato alla Polishuset di Lund, situata subito dietro la stazione ferroviaria; in altre parti di Svezia è necessario prenotare un appuntamento (solitamente per il giorno dopo), ma in Skåne puoi semplicemente presentarti ad una delle stazioni di polizia abilitate al rilascio dei documenti e metterti in coda.
Dopo avere preso il “kölapp con il mio numerino” ed avere atteso si e no 20 secondi, mi sono presentato davanti al banco, ed una poliziotta mi ha chiesto di vedere i documenti di Migrationsverket e un mio id (in questo caso la patente).
La cosa positiva è che tutto viene fatto sul posto: al tuo fianco c’è infatti un apparato che viene utilizzato per fotografarti e su cui apponi le impronte digitali e la tua firma. Il vantaggio, soprattutto per le foto, è doppio: innanzitutto sei sicuro che l’immagine sarà ripresa “a regola d’arte” (alcune nazioni, come gli USA, ti rispediscono indietro se la foto non è fatta secondo standard ben precisi) e poi ti risparmi il costo delle fototessere, che qui è incredibilmente alto anche nelle macchinette self service (non parliamo del fotografo).
Pagato con il bancomat, fornito il mio numero di cellulare, riceverò un doppio sms quando entrambi i documenti saranno pronti: il tempo di attesa medio per il passaporto è, generalmente, di cinque giorni lavorativi.

Aggiornamento del 29 maggio: la carta era pronta ieri, il passaporto l’ho ritirato oggi. Rispettivamente tre e quattro giorni lavorativi, quindi. Non mi posso lamentare!

Polisen

Da circa una settimana non trovo più la mia tanto apprezzata carta d’identità svedese. Il sospetto è che sia caduta da una tasca in cui l’avevo messa velocemente e in maniera, al mio solito, troppo distratta.
Dopo qualche giorno mi sono quindi rassegnato ad andare a sporgere denuncia alla polizia, per evitare brutti scherzi e adempiere ai miei compiti di buon “non-ancora-cittadino”.
Visto che il negozio di mia moglie è a due passi, sono andato alla sontuosa Polishuset di Davidshallstorget, un tempo sede primaria della polizia dello Skåne, rimpiazzata nel tempo dal più moderno edificio di Drottningatan.
Abituato a precedenti esperienze italiane, mi aspettavo una serie di grosse rotture di scatole: lunghi tempi di attesa, burocrazia, un poliziotto non a suo agio con il mezzo informatico (utilizzato per redigere la denuncia) e, per principio, sempre sospettoso e con una certa aria di superiorità.
Invece, nulla di tutto ciò: siamo entrati e siamo stati ricevuti immediatamente, da una persona molto cortese che non ci ha visti come una scocciatura e che ha fatto velocemente il suo lavoro.
Sia chiaro, è un caso e non è detto che questa sia la norma (anche perché esistono persone di ogni tipo in qualunque contesto) ma, alla base delle mie precedenti esperienze italiane, partivo sicuramente prevenuto.

La grande sorpresa in tutto ciò è, in ogni caso, il fatto che non si deve denunciare lo smarrimento della carta di identità rilasciata da Skatteverket (l’Ente delle Tasse). Il poliziotto mi ha detto “si, posso comunque registrarlo, ma in realtà non serve. Basta che contatti Skatteverket e dici loro di annullare la carta”.
Mi fido, ma io, da buon Italiano, la denuncia ho preferito farla lo stesso. 😀

Gamla Polishuset. Foto di jorchr, da Wikipedia.

Nya Polishuset, foto di jorchr da Wikipedia

Malmö a mano armata

Da novembre a oggi, cinque persone uccise con arma da fuoco. Un paio di giorni fa, una mamma rapinata mentre rientrava a casa con il passeggino.
Numeri e situazioni che, magari, in alcune città italiane farebbero ben poca notizia, ma che qui a Malmö stanno scatenando un importante allarme sociale. La gente ha paura e la “sicura” Svezia appare oggi decisamente meno sicura che mai, soprattutto qui nel sud.

Se, fra l’altro, i primi omicidi sembravano legati al mondo delle gang, gli ultimi due hanno riguardato persone incensurate, incluso un quindicenne a cui hanno sparato in testa e nel petto la sera di capodanno.
La Polizia svedese (che, a quel che ho letto qualche tempo fa, sarebbe una delle meno efficienti in Europa, statisticamente parlando, nella risoluzione dei crimini) non sa che pesci pigliare: un team di criminologi è stato inviato a Malmö per cercare di capire se esista un qualche legame fra alcuni degli omicidi, ma, al momento, non è riuscita ad identificare un pattern fra i diversi crimini.
Lo Skåne, fra l’altro, avrebbe anche il poco invidiabile record di armi detenute illegalmente, situazione a cui si cerca invano di porre rimedio da tempo.

Inutile dire che, se le cose non cambieranno in fretta, la situazione finirà per rinforzare la posizione di Sverigedemokraterna: nell’immaginario collettivo la criminalità è, come capita da altre parti, spesso associata automaticamente all’immigrazione (in particolare quella di stampo islamico) e il partito di estrema destra, che già ha nella multietnica Malmö la sua roccaforte elettorale, attirerà inevitabilmente nuovi consensi.

Dal sito di Dagens Nyheter

Svezia: Inferno e Paradiso

Finalmente, dopo che ne avevo assaggiato alcuni spezzoni su YouTube, io e mia moglie ci siamo messi a guardare la versione integrale di Svezia, Inferno e Paradiso, storico documentario shock italiano che, alla fine degli anni ´60, contribuì ad alimentare una serie di assurdi luoghi comuni sulla Svezia.
Il documentario ottenne un buon successo in Italia e all’estero, creando miti assurdi e (pare) favorendo il turismo sulle tratte aeree che conducono a Stoccolma.

Innanzitutto viene da chiedersi come mai Luigi Scattini abbia deciso di infamare proprio la Svezia, fra tutti i paesi in cui c’era un livello di emancipazione differente rispetto a quello Italiano. I fattori devono essere molti: sicuramente il fascino esercitato dalla donna bionda svedese che arrivava in Italia e che si mostrava in giro senza essere accompagnata da padre o marito (cosa spesso inconcepibile ancora nell’Italia degli anni ’60), che si permetteva di bere in pubblico o di agire in maniera indipendente.

Una spinta devono anche averla data film come Io Sono Curiosa – Giallo di Vilgot Sjöman o Monica e il Desiderio di Ingmar Bergman che, con le loro scene di nudo e/o argomenti sensuali, avevano creato un’immagine certamente distorta della società svedese.
Ovviamente, la legalità della pornografia era un altro elemento a favore del mito del svensk synd (il “peccato svedese”)…

Fatto sta che Scattini si deve essere divertito con gran gusto ad inventarsi situazioni talmente assurde dal far scompisciare dal ridere: lo sapete che le ragazze svedesi fanno tutte le sauna assieme e poi vanno a correre nude sulla neve? Che se provi a fermare un malvivente che ti sta rubando la macchina sarai arrestato, mentre lui potrà proseguire indisturbato nella sua opera? Che le ragazze non possono girare in periferia perchè saranno inevitabilmente stuprate da gang di biker? Lo sapete che l’arcipelago di Stoccolma offre una vista paradisiaca di ninfette che prendono sempre e rigorosamente il sole come mamma le ha fatte (strano che abbiano il segno del costume addosso!)? Che le vigilesse sono delle stronze insensibili che ti fanno la multa anche se sgarri di un minuto al parchimetro, e poi vanno a posare nude negli studi pornografici? Che le donne svedesi sono in realtà sempre depresse anche quando pensano di essere felici? Che i giovani abbandonano le famiglie e lasciano i genitori a morire da soli in un “cimitero degli elefanti”? Che il maschio latino non andava già più di moda negli anni ´60, ma che ogni ragazza del periodo si concedeva senza alcuna esitazione al primo africano che passava da quelle parti? Che i professori insegnano l’educazione sessuale utilizzando testi che in qualunque altra nazione porterebbero ad arresti di massa? Che le coppie svedesi non vogliono avere bambini se il momento non è quello giusto? Che le ragazze hanno le prime esperienze sessuali all’età di cinque anni e ne parlano in televisione senza alcun problema (in realtà, per chi conosce lo svedese, la ragazza dice di avere avuto il primo accenno di educazione a quell’età, ma la narrazione, sia in Italiano che in Inglese, trasforma il tutto in “prima esperienza”). Che gli svedesi non hanno alcun futuro perchè finiranno inevitabilmente suicidi o alcolizzati?

Il tutto è narrato sempre con un tono estremamente moralista e scandalizzato, aggiungendo puntualizzazioni gratuite spesso assolutamente spiazzanti.
Ovviamente il film non fu accolto molto bene in Svezia: fu trasmesso dalla televisione nazionale nell’ambito di una serie di programmi del tipo “come ci vedono”, ma fu anche pesantemente tagliato perchè molte delle persone riprese non avevano dato alcun consenso ad essere immortalate. Il giorno dopo la trasmissione, le proteste furono molto accese.

A guardarlo oggi, fondamentalmente, ci si fa del gran ridere. Si capisce chiaramente l’intento scandalistico del regista e la sua voglia di fare cassa esponendo più carne femminile possibile e presentando storielle in grado al tempo stesso di fare scalpore ed allupare il buon vecchio maschio latino. Mia moglie lo ha preso a metà fra il ridere e l’incazzatura (“Come si permette questo di infangare il mio paese in questa maniera”?), ma alla resa dei conti la conclusione è una sola: con tutto quel falso moralismo, e con l’esposizione di quelle che, di fatto, sono solo sue fantasie, alla fine la figura peggiore la fa proprio il regista.

Visione consigliata? Se volete sì, ma prendetelo appunto per quello che è: una divertente sequenza di vaccate con qualche pizzico di verità e tanta, tanta fantasia un po’ malsana…


Piccolo aggiornamento: nella recensione mi sono dimenticato un commento per la bella colonna sonora, composta di brani jazzy originali di Piero Umiliani (fra cui la versione originale di quel Mahna Mahnà reso celebre dei dei Muppets) e gioiellini pop del periodo. Sicuramente la cosa migliore del documentario!

Un mondo senza schiaffi

Questo articolo, quasi sorpreso, di un quotidiano italiano, mi ispira a scrivere questo mio post di oggi.
In breve, per chi non avesse voglia di leggerlo, un politico di Canosa di Puglia è stato arrestato a Stoccolma per avere, a quel che dice la polizia, schiaffeggiato in pubblico il figlio un po’ capriccioso.
Ora, per tanti Italiani tutto questo può sembrare strano: per molti lo scappellotto, lo schiaffo e la sculacciata hanno ancora un valore educativo insostituibile.
In Svezia non è più così da quarantacinque anni. Nel 1966, infatti, i genitori hanno legalmente perso il diritto di punire fisicamente i propri bimbi, nel 1979 la cosa è stata esplicitamente proibita.

In pratica, gli Svedesi sotto i quarantacinque anni sono cresciuti in un mondo senza schiaffi. Per loro la sculacciata non è solo un gesto proibito dalla legge, ma è un’aberrazione vera e propra, e le mamma e i papà che osano ricorrere a certi mezzi sono visti molto molto male.
Come risolvono, quindi, i genitori il problema del dissuadere o educare i propri bimbi? Semplice… parlando con loro! Molto tranquillamente (è davvero raro vedere qualcuno urlare), ma molto fermamente e spiegando semplicemente il perché delle loro decisioni.
In tutta sincerità, non mi pare che, in questa situazione, i bimbi svedesi escano fuori più maleducati di quelli italiani. Nè che gli adulti cresciuti in questo modo abbiano meno rispetto per le autorità o per i propri doveri. E, se fossi maligno, aggiungerei anche “anzi”.

In ogni caso, la lezione è sempre quella: quando andate in un paese diverso dal vostro, anche per una breve vacanza, informatevi sempre sugli usi e costumi e, soprattutto, sulle leggi, perché ci possono sempre essere delle conseguenze! Ricordatevi delle sensazioni di fastidio che provate quando un turista o un immigrato si comportano come a casa loro e, soprattutto, se venite a trovarmi in Svezia non sculacciate i vostri bimbi (o quelli di qualcun altro)!