Kulturkrock (Inseriti e integrati – parte 2)

Ispirato da commenti letti in giro per la rete e su Facebook in questi giorni, vorrei approfondire la questione dell’integrazione in Svezia, per una persona che dovesse arrivare dall’Italia, magari dopo avere trovato un lavoro da queste parti.
Una delle questioni più dibattute è quella su quanto gli svedesi siano razzisti, e se favoriscano o meno l’integrazione di persone provenienti da altri lidi.
Per mia esperienza personale, se parliamo dello svedese medio, escluderei il razzismo in senso stretto, quello basato sul colore della pelle o anche solo, come direbbe qualcuno, degli occhi: di persone razziste, quantomeno apertamente, qui non ne ho mai incontrate.
Sicuramente diverso il discorso per quanto riguarda la religione: c’è una discreta percentuale di svedesi, soprattutto nel sud del Paese, che ha una certa difficoltà a relazionarsi con l’islam (soprattutto per il timore di passi indietro a livello sociale), ma non è di questo argomento, già affrontato in passato, che voglio scrivere oggi.

Il punto è: quanto sono aperti gli Svedesi nei confronti dell’immigrazione proveniente dall’Europa del Sud?

Per rispondere a questa domanda, ci sono una serie di fattori di cui tenere conto.
A mio avviso, i tre aspetti fondamentali della mentalità media svedese da considerare sono questi: la forte omologazione, il non volere mai scontrarsi e una certa stima per la propria società civile. So di fare delle grandi generalizzazioni, e me ne dispiaccio, quindi non considerate tutto ciò come una verità assoluta che valga per tutti perché, ovviamente, non è così: diciamo che sono discorsi, per lo più, di massima.

L’omologazione è una cosa su cui gli svedesi sono anche i primi a scherzare (vedi il film Sällskapsresan, di cui avevo parlato tempo fa), ma è anche un dato di fatto: gli svedesi tendono a comportarsi in maniera più uniforme rispetto ad altri popoli, che sono più “disordinati” o “creativi” a seconda dei punti di vista. In questo contesto, la presenza di un corpo estraneo, di una voce fuori dal coro, può causare stress o tensione, anche solo per il fatto che molti non sono abituati ad averci a che fare.

Il volere evitare ogni forma di contrasto è il secondo fattore essenziale. A paragone con gli italiani, gli svedesi sono estremamente “moderati” nella discussione e bisogna sempre trovare il modo di esprimere la propria opinione in maniera “lagom“.
È raro che uno svedese dica “no”: più probabilmente dirà “forse” o “si, ma…”.
Il “no” equivale spesso ad alzare un muro, a cercare proprio quella contrapposizione che lo svedese medio vuole evitare, sia nei confronti degli altri che nei propri.
Gli svedesi non parlano mai di politica perché non vogliono litigare, non ti dicono “hai messo su pancia” perché hanno paura di fartici rimanere male, non fanno commenti (che non siano positivi) sul tuo abbigliamento perché non vogliono mettere in discussione i tuoi gusti.
E, ovviamente, si aspettano lo stesso tipo di trattamento.
Nel momento in cui arriva qualcuno da un altro paese che non ha problemi di questo tipo, può arrivare il kulturkrock, quello scontro fra culture che accade senza che tu neanche ti renda conto che stia accadendo e senza che tu ne capisca il perché.
Insomma, una frase che per te, nei confronti di un altra persona amica o cara, può essere perfettamente normale, al limite un simpatico sfottò, non è detto che lo sia per qualcuno che ha un background culturale differente.

Il terzo punto, quello dell’orgoglio per la propria identità e società civile, è forse meno rilevante, ma può comunque avere un ruolo importante in determinati contesti e relazioni se associato con gli altri due punti. Il mito degli svedesi che credono di vivere in una società perfetta è tramontato da tempo: oggi cose come la Försäkringskassa e l’Agenzia per l’Impiego funzionano molto peggio che in passato, e gli svedesi sono i primi a saperlo e lamentarsene. Di recente la nazione è stata scioccata dal rapporto PISA che ha dimostrato il crollo qualitativo della scuola, dopo le privatizzazioni dell’ultimo decennio. Ciò nonostante, gli svedesi sono comunque ben consci di vivere in una società ottima sotto molti punti di vista, e tendono ad irrigidirsi di fronte a chi, esterno, non sembra apprezzare questa società, a chi non ne rispetta le regole civili, a chi si crede “meglio” o, addirittura, “più furbo”.
Inoltre, per quanto spesso siano i primi ad apprezzare pizza e pasta (magari nella loro versione col ketchup), i vini dello Stivale o la bellezza di Capri e Sorrento, non gli fa piacere sentirsi dire ripetutamente che “come il cibo italiano non ce n’è”, “io bevo solo vino italiano” o “eh, i panorami italiani…”, senza magari sentire mai apprezzamenti per la cucina o i posti locali.
E, no, il caffè di qui non è “acqua sporca”.

In Svezia bisogna anche imparare ad essere calmi :-D
In Svezia bisogna anche imparare ad essere calmi 😀

La risposta alla domanda di cui sopra è quindi scontata: a mio avviso, lo svedese non discrimina per pelle, colore degli occhi, religione, lingua o origine. Può, però, avere dei seri problemi con i comportamenti estranei al modo di pensare locale o che ritiene maleducati. E, allora, può capitare che, in certe situazioni, la paura dei contrasti che possono sorgere dalla presenza di una voce fuori dal coro, possa portare a forme di rifiuto preventivo. E tocca quindi a te cercare di sfruttare ogni occasione per dimostrare che non sei un problema potenziale. Triste, ma vero, quando vai in un’altra nazione.
Se vuoi vivere in Svezia, a mio avviso, devi accettare di “svedesizzarti“. Il che non vuol dire buttare via la tua cultura, ma vuol dire avere l’apertura minima necessaria per accettare anche quella locale e cercare di fare di tutto per limare gli scontri culturali. Vuol dire entrare nella loro mentalità, apprezzare le loro abitudini. Se siete una famiglia italiana in Svezia, nessuno vi dice di farvi la cena di Natale a base di aringhe e janssons frestelse, ma, se qualcuno vi invita ad una julbord, mangiate e godetene senza rimpiangere troppo capitone o tortellini.

La lingua è importante anche per questo: tutti si chiedono “ma perché devo imparare lo svedese per lavorare, quando tutti parlano un inglese perfetto?” La risposta è che, se hai imparato lo svedese, hai fatto un passo per diminuire le distanze, e quel passo è importante e apprezzato: se parli uno svedese migliore vuol dire anche che probabilmente sei qui da più tempo, che hai avuto maggiori occasioni per imparare a relazionarti con gli altri, che sei un corpo meno estraneo in questa nazione.

Anche il giorno in cui magari troverai lavoro, poi, non pensare di essere arrivato. L’errore più grosso che puoi fare, a mio avviso, è di costruirti una tua piccola Little Italy personale, soprattutto se non hai, magari, un partner indigeno che possa farti conoscere la cultura locale.
Anche se all’inizio ti sembrerà come la cosa più comoda, facile e naturale, non è frequentando solo altri italiani che ti integrerai: quello che devi fare è invece uscire dalla tua zona di comfort, altrimenti sarà un problema già sulla media distanza.
Se, sul lavoro, trovi un/una collega connazionale, evita di fare comunella solo con lui/lei: certo, è sempre più facile legare con qualcuno che non solo parla la tua lingua, ma che ha anche le tue basi culturali e pop (no, allo svedese medio non puoi citare Lupin III, e, se ti scapperà un “Oui, je suis Catherine Deneuve” alla prima menzione della lingua francese, nessuno capirà a cosa ti stai riferendo)… ma se vuoi vivere in un’altra nazione devi fare un passo in più.
Sforzati, invece, di parlare in pausa pranzo con i tuoi colleghi svedesi, anche se la cosa è più difficile. Fra di loro discuteranno soprattutto nella loro lingua, e tu all’inizio potresti anche non capire un tubo, ma, se parlano in svedese tra di loro, non è perché sono stronzi che non vogliono accettarti… lo fanno essenzialmente per lo stesso motivo per cui tu parleresti italiano: perché è più facile per loro, è più rilassante e naturale. E la differenza è che loro non si devono integrare in Svezia, tu sì, e tocca quindi a te fare la cosa più difficile.

Se invece sarai tu a fare comunella solo con altri italiani, il primo ad alzare una barriera sarai tu assieme ai tuoi amici. Sarete voi i primi a creare un “noi e loro”, insiemi non comunicanti. Se poi, come è, cinque italiani sono più rumorosi e caciaroni di un’intera mensa di svedesi, ecco che non sarete più solo un corpo estraneo non integrato, ma sarete anche un fastidio da limitare. E allora fioccheranno le accuse di razzismo…

Insomma, errori ne facciamo tutti, ma spero che quanto scritto qui sopra possa aiutare altri a farne qualcuno in meno. E, prima che me dimentichi (visto che già l’ho fatto per il Natale), colgo l’occasione di augurare a tutti un buon 2014. Ci risentiamo (spero) presto!

20 pensieri riguardo “Kulturkrock (Inseriti e integrati – parte 2)

  1. Sono d’accordo sulla riflessione, non credo si comportino così per cattiveria. Almeno la maggioranza. Che poi ci sono certi razzisti in Italia, figurati. Però non sono d’accordo sulla soluzione. E non perché io difenda l’italianità, anzi. Ma penso che per affrontare il mondo moderno ci sia bisogno di diversità, di spinte a migliorarsi, di competizione. Il modello svedese poteva funzionare negli anni ’60-’70, ma già da un poco, vista la concorrenza internazionale, non va poi tanto bene. Fino a quando la Germania tira, la Svezia si mantiene, ma non so per quanto. Mi capita di girare per i paesi emergenti, e l’energia, la voglia di fare e di farsi valere che c’é li qui in occidente ce la sogniamo. Quindi anche gli svedesi devono adattarsi ed aprirsi. Questo loro senso di superiorità non sta in piedi, ed anche le critiche devono essere ben accette. Da qualunque parte vengano.

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    1. Che la Svezia debba accettare le critiche è sacrosanto, ma non era questo il punto: il punto è cosa deve fare un Italiano per farsi accettare in Svezia, e non è certo criticare il modo migliore. 🙂

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      1. Si ma vedi, il dover stare in silenzio e non criticare quando c’è me é bisogno, é un esempio di intolleranza e chiusura della società. Se per essere accettati bisogna far così, beh, forse questa non è la nazione dove voglio integrarmi. Ed é quello che pensano molti immigrati… con tutte le conseguenze del caso. Secondo me, come in tutte le cose, andrebbe guardata la visone generale. Quali sono i punti fondanti di questa nazione? Democrazia, uguaglianza (sesso, religione etc) e pace? Bene, chi viene qui e gli svedesi devono puntare a questo in ogni cosa che fanno. Che poi lo facciamo mangiando aringhe o pizza, che se ne frega. Ma se un immigrato tratta male le donne, beh, fuori, non hai rispettato i principi fondanti di questa nazione. Se uno svedese non ti dà lavoro, ti tratta con aria superiore, non accetta la critiche, beh, sbaglia lui. Perché non sta seguendo i principi fondanti della sua nazione.

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  2. grazie x gli auguri e buon anno anche a te e famiglia!🎄ho letto con molto piacere l articolo,avendo un amica svedese su fb(credo di poter dire la migliore di tutte).a volte mi sembra di stare nel film di balla coi lupi quando avvenivano i primi incontri tra il protagonista e l altro indiano(il saggio)entrambe siamo curiose delle abitudini dei 2 paesi ed entrambe messaggiamo in inglese ma del tutto nn ci capiamo!leggendo il tuo articolo capisco che parlo tropp
    o spesso del mio paese,del mio cibo e soprattutto dico noi e voi😔detto questo cerchero’ di cambiare,continua a scrivere che ti leggiamo molto volentieri,grazieeee!

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  3. Io sono una svedese che ormai vive in Italia da circa 15 anni. Concordo che come straniero in un paese straniero bisogna adattarsi al nuovo paese e i nuovi compaesani. Io come svedese in Italia devo per forza accettare “l’italianità” così come un italiano in Svezia deve per forza accettare “la svedesità”. E’ semplicemente la natura della bestia che siamo leggermente fuori passo con il popolo in generale quando siamo straneri.
    A me la cosa fondamentale è stato imparare l’italiano al meglio possibile per poter esprimere me stessa non solo in bianco e nero ma con tutte le sfumature che fanno parte di ciascuno di noi. Solo allora sono stata (abbastanza) accettata dagli italiani che mi circondano al lavoro, nel coro dove canto e nella città dove abito. E’ così dovrebbe fare un italiano trasplantato in Svezia, o in effetti chiunque che si è trasferito per qualsiasi motivo un altro paese.
    BUON ANNO NUOVO 2014!!!

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  4. condivido quasi in toto tutto quello che scrivi. trovo interessante anche il commento di gattosolitario dove dice che il modello svedese inzia a fare acqua e l’economia resta in piedi perchè agganciata alla germania. trovo moolto interessante questo tema e mi piacerebbe poterlo approfondire anche se mi rendo conto che è un po’ OT rispetto al post. io dal mio piccolo sono rimasto colpito di vedere in svezia 3 cassiere in musei semivuoti o due traghettieri su una barca a stoccolma semivuota, di cui la funzione di uno dei due era aprire il cancelletto ai moli (troppo difficile per quello che guidava alzarsi un attimo a barca ferma?). insomma con la concorrenza dei paesi emergenti mi stupisce che ci siano ancora questi sprechi “all’italiana” nella cosa pubblica.

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  5. Ciao!
    Ho trovato molto interessante quello che hai pubblicato, soprattutto per chi come me vorrebbe provare, in modo graduale, ad abbandonare il suolo italico per portarsi all’estero. Nello specifico, sono particolarmente attratta dalla Svezia.
    Da perfetta “ignorante”, ti chiedo dove posso trovare indicazioni utili per vivere là? Lavoro, alloggio ecc ecc.?
    Ti ringrazio e ti auguro un felice 2014

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  6. Post molto bello e concordo al 100% con i tre aspetti fondamentali della mentalità media svedese ed è per questo che mi sono sentita emarginata (per la questione dell’isolamento preventivo nell’evitare conflitti) e poi ho fatto il resto non accettando il concetto di lagom ed esaltando la mia diversità perchè il concetto “svedesizzarsi” non mi piace ma cercare di fare combaciare l’italianità in Svezia alcune è molto difficile e poi alcuni svedesi dovrebbero sapersi fare un esame di coscienza che non vivono nel paradiso perfetto e leggendo anche molti blog d’italiani che sparano a zero sull’Italia … Poi non mi piace nemmeno il concetto di italianizzazione degli stranieri in Italia ma a mio avviso il processo che si instaura è la “naturalizzazione” che si sviluppa nel tempo. Non parlo da veterana essendo stata solo dieci mesi qui (pochissimi per capire le mille sfaccettature di una cultura), specificando in un paese molto più a nord dell’Ultima Thule 🙂 e ne sono uscita con le ossa abbastanza rotta e traumatizzata. Non per questo forse non ci riprovo di nuovo ma questa volta più consapevole dei miei limiti. Riallacciandomi al discorso di Valentina vorrei chiederti se posso contattarti privatamente per più informazioni a riguardo a lavoro, alloggio, Skåne talas (difficoltà nell’impararlo e capirlo) a Malmö, in quanto forse per la mia seconda e ultima chance voglio provare solo lì. Scusa di essere stata molto prolissa.

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    1. Purtroppo, come ho già scritto in passato, non sono in grado di aiutare nessuno con la ricerca di casa e lavoro. E per quanto riguarda lo skånska… l’unica è parlarlo con i locali…

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  7. Ciao Daniele. Prima di tutto devo farti i miei migliori complimenti per il tuo blog. Mi piacciono gli argomenti di cui parli e mi piace il tuo modo di esprimerti e di spiegare le cose. Io ti scrivo da molto lontano, precisamente dal Brasile, ma anch’io, come te, dal “lontano” 2009, mi sono trasferito in un altro paese. La scelta di vivere in Brasile è stata quasi forzata, dato che mia moglie, brasiliana, non ha resistito alle enormi differenze culturali, sociali e climatiche dell’Italia, e dopo soli 6 mesi di permanenza nel Bel Paese abbiamo deciso di venire a vivere qui in Brasile.
    Leggendo il tuo post e altri analoghi mi sono trovato d’accordo su alcuni punti, come ad esempio il fatto che una persona “integrata” è certamente più felice, nel senso con meno problemi, di una solo “inserita”. Ma, forse mi sbaglio, e in questo caso scusami, mi sembra di capire che, secondo te, una persona per vivere in un altro Paese debba necessariamente integrarsi con le abitudini e stili di vita del Paese in cui vive. Io non sono molto d’accordo su questo punto.
    Tra Italia e Brasile vi sono delle differenze abissali in ogni cosa, dal modo di mangiare, di vestire, di esprimersi, di divertirsi, ecc. Quindi io vivendo qui accetto e riconoscono queste differenze, ma non per questo mi sento in dovere di fare mie abitudini o concetti che non m’interessano. Io vivo in questo Paese da ormai 5 anni e penso che finirò qui i miei giorni (frase orribile ma che rende bene il concetto), ma in ogni caso io sono e sarò sempre un italiano, con idee, costumi e abitudini da italiano. E ‘chiaro che mi adeguo alle condizioni locali (per esempio qui uso tutti i giorni bermuda e infradito, cosa che in Italia non usavo mai) ma il mio modo di essere o di pensare non è cambiato venendo a vivere in Brasile. Il fatto di vivere in un Paese straniero ti permette di conoscere situazioni e culture completamente differenti dalle proprie, e questa è una splendida cosa, ma non significa che, solo per questo, io debba, nel mio caso, “brasilizarmi” e fare di tutto per venire accettato da persone con idee diverse dalle mie.
    Non si tratta di “orgoglio nazionale” (anche se da quando sono qui amo e apprezzo di più il mio Paese) né il fatto di sentirsi superiori o migliori di altri. Ma sono cosciente di avere una cultura diversa, come gli altri sono “diversi” da me, ma questa diversità mi piace e la voglio mantenere. Io non voglio cambiare le idee degli altri, ma nemmeno voglio che gli altri cambino le mie. Io trovavo giusto e anche bello quando in Italia vedevo, che so, un keniota con vestiti e usanze del suo Paese d’origine. Non ci trovo niente di sbagliato in qualcuno che mantenga le proprie radici pur vivendo in un Paese lontano e diverso. Certo, in ogni caso tutti noi dobbiamo accettare e rispettare le Leggi e le abitudini locali, ma anche gli altri devono accettare le mie.
    Ti faccio qualche esempio: qui in Brasile è normale che qualcuno si presenti a casa tua in ora di pranzo o cena inaspettatamente, senza essere invitato. Questa è una cosa che odio, e tutti i miei amici e familiari brasiliani sanno questo, quindi prima di venire loro mi avvisano, così io ho modo di preparare qualcosa di buono e fare bella figura. Quindi, se io fossi “integrato” come tu dici, dovrei fare come loro, cioè avere sempre un monte di cibo già pronto per ogni evenienza. Ma non lo faccio, perché sono italiano e cucino la quantità giusta che serve, in modo da non buttare via niente e nemmeno mangiare cose riscaldate. È sbagliato fare questo? A mio parere no.
    Sempre in ambito di cibo (ne potrei parlare per ore) tutti i brasiliani che mi conoscono sanno che sono italiano e che in casa mia si mangia solo italiano, dato che non sono capace a preparare la cucina brasiliana (a parte la Caipirinha). Di conseguenza, quando io vado a casa di qualche brasiliano, so perfettamente che mangerò cibo brasiliano, ma se c’è qualcosa che non mi piace lo dico e non mi sento maleducato per questo (e infatti nessuno si è mai offeso). Succede anche l’inverso, per esempio io preparo un Tiramisù ma a molti di loro non piace, preferendo una gelatina di frutta. Non vedo nessun problema ad avere gusti diversi.
    Da quanto leggo i brasiliani e gli svedesi hanno qualcosa in comune, come il fatto di non dire mai “NO” e di non dire mai apertamente quello che pensano, ma a mio parere questo non è sinonimo di educazione o cultura differente, ma di ipocrisia e falsità. Quindi io a volte preferisco passare per maleducato o “cattivo” ma dire “No guarda, questa cosa qui non la posso fare”.
    Quindi, per farla breve (per modo di dire, dato che mi sono dilungato tantissimo, e ti chiedo scusa per questo) è vero che per vivere (bene) in un altro Paese bisogna accettare un’infinità di differenze culturali, però a mio parere questa diversità esistente tra due popoli, due nazioni o due semplici persone, lontane o vicine che siano, non la trovo sbagliata. Quindi viva la diversità, viva il fatto di non essere tutti uguali, omologati e standardizzati. È giusto che io debba accettare le abitudini e il modo di vivere delle altre persone, ma è altrettanto sacro e giusto che gli altri accettino le mie.
    Un caloroso saluto (in tutti i sensi) dal Brasile.
    Ciao!
    Franco

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    1. Ciao Franco. Gran bel commento, il tuo, ma resto comunque in disaccordo. Resto convinto che, facendo così, resterai sempre straniero in terra straniera. A me piace l’idea di fare della mia Svezia la mia nuova casa, anche dal punto di vista culturale. Questo non cancellerà, comunque, la mia italianità. 🙂

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  8. Nonostante il post sia “datato”, ritengo che questo blog sia uno dei più onesti ed equilibrati. Dobbiamo smetterla di emigrare e voler importare la nostra “italianità” altrove, non solo perchè è sintomo di ignoranza e bassa sensibilità ma perchè denota pure una scarsa apertura mentale. Poco importa se ci riferiamo alla Svezia perbenista, alla Germania troppo retta o alla diametralmente opposta Africa. Nel ricordarci chi siamo, non dimentichiamoci i nostri difetti e le nostre scelte. Il patrimonio che si apporta a degli individui (e quindi ad un paese) non risiede nel dominarlo subdolamente ma nel comprenderlo e nel rispettarlo, anche perchè, altrimenti, si stava nel proprio paese.

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