Il continente

Mi ha sempre fatto impazzire il fatto che gli svedesi si riferiscano a Copenaghen come “continente”, quando la capitale Danese è posta su un isola, mentre la Svezia è parte di una penisola che, del continente Europeo, fa parte sul serio.

La recente visione di un documentario (in svedese) del 2006 sul dialetto scanico, mi ha permesso di capire veramente il modo di pensare degli Svedesi. Il documentario (purtroppo non ho trovato sottotitoli di alcun tipo) è davvero interessante, e porta avanti una tesi importante per cui il “confine continentale” non sarebbe quello marino dello stretto di Öresund, ma andrebbe invece identificato all’interno del territorio svedese.

Immagine presa dal documentario della tv di stato Svenska dialektmysterier
Immagine presa dal documentario della tv di stato Svenska dialektmysterier

Ci sono alcune differenze fondamentali che, ancora oggi, separano lo Skåne dal resto della Svezia. Le più evidenti sono nella lingua e nell’architettura, ma anche in certe situazioni pubbliche.
Il giornalista autore del servizio fa infatti notare come nei caffè e nelle Konditori del sud si venga talvolta ancora serviti ai tavoli, cosa che gli Svedesi associano allo stile di vita continentale. Nel resto del paese bisogna portarsi da soli cibo, caffè e tazze dal banco o da grosse tavolate appositamente predisposte.
Ed effettivamente, a pensarci, anche la mia pasticceria preferita di Svezia, la suggestiva ed elegante Sundbergs a Stoccolma, è basata sul “self service”.

Sulla lingua ho già fatto qualche accenno in passato: gli svedesi trovano ostico il dialetto skånska, le cui due peculiarità principali sono la erre arrotolata (presente anche nel danese e di origine francese) e i particolari dittonghi (minuto 17:40 del documentario). Questi ultimi sono invece una caratteristica unica condivisa solo con i danesi dell’isola di Bornholm, la sola zona in cui si parla ancora il “danese orientale” che è alla base, appunto, dello skånska.

Ma è con l’architettura che le cose si fanno più interessanti anche per chi non coglie le sfumature del parlato: uno degli elementi simbolo dei panorami svedesi sono infatti le celebri case di legno colorate in Rosso Falun, diffusissime in tutta la nazione. Tutta la nazione tranne lo Skåne.

Da Wikipedia - foto di Susann Schweden. Licenza Creative Common
Da Wikipedia – foto di Susann Schweden.
Licenza Creative Common

Abitazione a Mullhyttan
Abitazione a Mullhyttan

Qui nel sud è infatti molto più tipico il mattone con intelaiatura a traliccio (Korsvirke in svedese), in forme simili a quelle molto diffuse, appunto, nel continente e Inghilterra (le cosiddette “case Tudor”).
Abitazioni di questo tipo sono molto frequenti nelle campagne, ma se ne trovano spesso anche in città, come nel caso di Lilla Torg a Malmö, o di buona parte del centro storico di Ystad.

Case in korsvirke ad Ystad
Case in korsvirke ad Ystad
Da Wikipedia – foto di Jorchr.
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Lilla Torg
Lilla Torg

I motivi di queste differenze sono soprattutto storici e geografici. Lo Skåne apparteneva infatti alla Danimarca fino al 1658, anno in cui, durante una delle molte guerre del periodo, l’esercito Svedese marciò dalla Polonia fino alla Danimarca del sud per poi attraversare (a piedi e cavallo!) i tratti di mare ghiacciato del Piccolo e del Grande Belt, arrivando a sopresa alle porte di Copenaghen. Nonostante le promesse iniziali, secondo cui l’allora Danimarca dell’Est avrebbe conservato lingua e leggi originali, ci fu una spietata assimilazione, con il divieto di parlare danese e il rogo di tutti i testi che non fossero in svedese. Quello che resta di questa operazione di pulizia è, appunto, lo skånska, la versione svedesizzata del vecchio danese dell’est.
Ma anche la geografia ha avuto il suo ruolo: la Scania è situata nella penisola Scandinava, ma è, in realtà, separata dal resto della Svezia da paesaggi aspri e fitte foreste che rendevano piuttosto complicati gli scambi, mentre lo stretto di Öresund poteva, invece, essere percorso agevolmente da imbarcazioni. Insomma, la cultura continentale riusciva ad arrivare piuttosto facilmente a Malmö e dintorni, ma si fermava sulle foreste che separano lo Skåne dal resto della Svezia.

Il giornalista di SVT ha fatto un semplice esperimento: è risalito lungo le campagne da Malmö per cercare il punto in cui le case in korsvirke vengono rimpiazzate da quelle in legno rosso. Lo ha trovato (minuto 21:07) in Örkelljunga, cittadina in cui le due tipologie abitative coesistono.
A fare da controprova, l’area di diffusione dei dittonghi dello svedese del sud coincide, più o meno, con lo stesso territorio.
La conclusione del servizio è quindi che il confine fra il “continente” e un non specificato “non continente” (il “Nord”?) sia da trovare proprio a Örkelljunga e nei paesi che fanno parte della stessa fascia.

Personalmente, non so come reagire a questo tipo di pensiero. Devo dire che il sud è la zona del Regno che ho visitato per prima, e quindi, per me, è quasi naturale associare questo tipo di architettura alla Svezia. Per mia moglie, invece, non è proprio così: sin dalla prima volta che siamo scesi assieme al sud non ha mai mancato di farmi notare come tutto per lei fosse “danese” o, appunto, continentale. Ed, effettivamente, le sensazioni ambientali che ricevi da una città come Lund sono decisamente diverse da quelle che hai da Uppsala, giusto per citare due località paragonabili: lo Skåne è sicuramente il ponte culturale che unisce la Svezia alla Danimarca, così come la Danimarca è il ponte fra il Nord e la Mitteleuropa. Pur con questo assunto, devo dire, però, che trovo davvero difficile pensare che il continente finisca ad Örkelljunga…

Di Santi, capre, folletti e Babbi Natali

Jultomtar in una vetrina
Jultomtar in una vetrina

Chiunque sia mai stato in Svezia in questo periodo dell’anno è sicuramente rimasto affascinato, prima o poi, dalla presenza di quei folletti vestiti da Babbo Natale che affollano i negozi di souvenir ma che appaiono anche nelle vetrine dei negozi “normali”. Ma chi sono esattamente questi folletti? Sono effettivamente delle versioni particolari di Babbo Natale? Ne sono lontani parenti? C’è anche solo una qualche relazione fra le due figure? La risposta si trova indagando fra miti e leggende europee, passando per la terra della Coca Cola e di Walt Disney…

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C’era una volta in Europa…
Babbo Natale, almeno come lo conosciamo noi, è una creazione americana del diciannovesimo secolo. La figura di Santa Claus, vecchio pacioccone fatato vestito di rosso e portatore di doni pesca però a piene mani da diverse tradizioni europee, e due in particolare la fanno da padrone.

Sinterklaas (in alto, foto di Gaby Kooiman da Wikipedia) e Father Christmas (in basso)
Sinterklaas (in alto, foto di Gaby Kooiman da Wikipedia) e Father Christmas (in basso)

Il Sinterklaas olandese è una figura popolare basata su quella di San Nicola, con l’aggiunta di elementi precristiani legati soprattutto ad Odino. Sinterklaas ha una lunga barba bianca, veste da vescovo (e quindi di rosso) e porta doni (cavalcando sui tetti) nella notte fra il 5 e il 6 dicembre. Non si tratta quindi, almeno originariamente, di un mito strettamente natalizio.

Il Father Christmas britannico è invece una figura di origine prettamente pagana. Da principio noto come Vecchio Inverno (Old Man Winter), era la personificazione della stagione e veniva generalmente identificato con Woden, l’Odino britannico. Con l’arrivo della cristianità i vecchi miti pagani furono assorbiti: la Festa del solstizio d’Inverno divenne il Natale e il Vecchio Inverno sopravvisse popolarmente come Father Christmas, riemergendo, in particolare, nel quindicesimo secolo. Un vecchio giovale ma smilzo, originariamente vestito di verde, talvolta a cavallo di una capra, Father Christmas divenne quindi la personificazione del Natale: il suo mito si diffuse in Europa per via della traduzione di alcuni racconti, ed è per questo motivo che, in Italia, si utilizza il termine Babbo (o Papà) Natale, invece di San Nicola o Santa Claus.

Il Santa Claus di Nast
Il Santa Claus di Nast

Santa Claus negli Stati Uniti
I miti popolari europei si incontrarono negli Stati Uniti, mescolandosi fra loro e creandone di nuovi. La nascita del moderno Santa Claus viene ricondotta al poema del 1823 The Visit Of Saint Nicholas, oggi noto soprattutto come The Night Before Christmas e attribuito a Clement Clark Moore. In questo racconto vengono stabiliti in maniera definitiva molti degli elementi canonici del personaggio: San Nicola si lega ora con il Natale, perde l’abito da vescovo (sostituito da pellicce), è una figura fatata che porta doni ai bambini buoni attraverso i camini e vola nel cielo su una slitta trainata da renne. Per un passo importante nella definizione moderna di Santa Claus, bisognerà attendere un’illustrazione del 1863 di Thomas Nast, che illustrò un vecchietto rubicondo, allegro e decisamente sovrappeso. Fu in uno dei libri illustrati di Nast che venne definito un altro elemento importante: è da allora che sappiamo che Babbo Natale vive al polo Nord.

Il Babbo Natale definitivo!
Il Babbo Natale definitivo!
(© The Coca Cola Company)

Il Santa Claus definitivo arriva però nel 1931 grazie alla Coca Cola e, in particolare, all’illustratore Haddon Sundblom: scritturato per una campagna promozionale, Sundblom ci disegna il Babbo Natale che tutti conosciamo. Un vecchietto di grande stazza, gioviale e che irradia calore e umanità. Se fino a quel momento esisteva ancora un dubbio sul colore dell’abito di Santa (con il verde come alternativa principale), è con questa versione che diventerà per sempre rosso e bianco. Guarda caso proprio i colori simbolo di una certa bevanda…
Il Santa Claus “made in Coca Cola” divenne immediatamente popolarissimo, al punto che, già per il Natale successivo, Walt Disney decise di produrne una propria versione animata: Santa’s Workshop (in Italiano Papà Natale) è tuttora un classicissimo dell’animazione del periodo e fa parte, quarda caso, di quel Kalle Anka och hans vänner önskar God Jul che è parte fondamentale della celebrazione del Natale per gli Svedesi.
Grazie alla Coca Cola, alla Disney e alla Seconda Guerra Mondiale, Santa Claus “ritornò” un po’ alla volta in Europa, dove reincontrò, per lo più soppiantandole, le sue versioni primigenie. Nelle Isole Britanniche, ad esempio, i termini Santa Claus e Father Christmas sono ormai sinonimi, e solo in alcune parti più tradizionaliste viene celebrato il vecchio personaggio.
Cosa c’entra, quindi, la Svezia con tutto questo, e qual è la relazione fra la terra di Pippi Calzelunghe e Babbo Natale?

Nel frattempo, in Svezia…
In Svezia, ci sono due miti folcloristici storici da prendere in considerazione prima di arrivare al moderno Jultomten.

Julbocken ai piedi dell'albero
Julbocken ai piedi dell’albero

Il primo è la Julbock, ovvero la Capra di Yule. Probabilmente di origine pagana, e legata al dio Thor, la Capra ha rappresentato a lungo lo Spirito che controllava che il Natale fosse celebrato a regola d’arte. Ad un certo punto, nel corso del diciannovesimo secolo, la Capra cominciò ad assumere il ruolo di portatrice di doni per i bambini. Era solitamente il padre o un anziano di famiglia a travestirsi da Capra e bussare alla porta di casa nel pomeriggio della vigilia. Come vedremo, la Julbock perse relativamente in fretta questo ruolo, ma è rimasta comunque uno dei simboli del Natale svedese.
Le caprette di paglia sono ancora oggi una decorazione tipica delle case della nazione, e, nella città di Gävle, viene regolarmente costruita una gigantesca Capra, destinata ad essere incendiata allo scoccare dell’anno nuovo.

Gävlebocken: foto di Tony Nordin
Gävlebocken: foto di Tony Nordin

La seconda figura folcloristica importante è il Tomte. Originariamente un folletto benigno, capriccioso e fortissimo che si occupava di proteggere la casa, la fattoria e il bestiame durante le ore notturne (ma anche di causare danni a chi non si comportava correttamente o gli mancava di rispetto), la credenza del Tomte venne a lungo demonizzata e ripudiata con l’arrivo della cristianità. Inutile dire che il mito sopravvisse comunque, finendo con l’assumere poi un ruolo sempre più legato al Natale. In particolare,
lo scrittore Viktor Rydberg introdusse per la prima volta lo Jultomten nella novella Lille Viggs äventyr på julafton (L’avventura del Piccolo Wiggs durante la Vigilia di Natale, 1871) e poi nella poesia Tomten (1881). In quest’ultima, il Tomten era un folletto natalizio che girava per la casa la notte del sostizio d’inverno ponderando sulla situazione.
Fu l’illustratrice Jenny Nyström a rappresentare graficamente lo Jultomten di Rydberg, al punto che la disegnatrice viene ricordata in Svezia come “la mamma di Babbo Natale”. Un’altra rappresentazione grafica amatissima (ma decisamente successiva) del folletto è quella di Harald Wiberg.
Jultomten ereditò in fretta dalla Julbocken il ruolo di portatore di doni: questo processo avvenne per induzione dalla Danimarca, dove lo julenisse aveva una funzione simile, e dalla Germania, paesi in cui si stava espandendo l’influenza di Sinterklaas e dei suoi “parenti”.

I Tomtar di Jenny Nyström
I Tomtar di Jenny Nyström.
(© degli aventi diritto)
Da notare come, nei decenni successivi, il Jultomten delle illustrazioni della Nyström cominciò a convergere con Santa Claus.
Da notare come, nei decenni successivi, il Jultomten delle illustrazioni della Nyström cominciò a convergere con Santa Claus e Father Christmas.

Quando dagli USA cominciò ad arrivare la figura del Santa Claus moderno, in particolare con gli anni ´30 del XX secolo, in Svezia esisteva già una radicata tradizione relativa agli jultomtar. Mentre il Santa Claus americano era uno solo, era un uomo di grossa stazza, viveva al Polo Nord e si calava dai camini la notte della vigilia, il Tomten era una figura legata alla famiglia o alla comunità, viveva nel boschetto vicino a casa e bussava alla porta di casa nel pomeriggio della vigilia. Le due figure si ritrovarono in qualche modo a convergere e il nome Jultomten passò ad identificare tanto il piccolo folletto svedese quanto il rubicondo vecchietto sovrappeso. Al giorno d’oggi, i bimbi svedesi, quando parlano di Tomten (senza specificare altro), fanno riferimento senza dubbio a Santa Claus, ma il piccolo folletto continua comunque ad esistere con lo stesso nome nell’immaginario, nella riprosizione degli scritti di Rydberg (sempre popolari), nel folklore… e nei negozi di souvenir di tutta la Svezia!

Il meraviglioso Tomten di Wiberg!
Il meraviglioso Tomten di Wiberg!
(© degli aventi diritto)

Peraltro, il Babbo Natale svedese conserva caratteristiche uniche derivate dal piccolo folletto: non si cala dai camini, ma, ereditando il ruolo che fu della Capra, continua a bussare alla porta di casa nel pomeriggio della vigilia (subito dopo la visione del già citato Kalle Anka och hans vänner önskar God Jul) e non vive al Polo ma in qualche bosco nelle vicinanze. Perché globalizzati sì, ma sempre con un minimo di orgoglio Nazionale! 😀

Infine, una raccomandazione in conclusione: se passate dalle parti di Stoccolma in questo periodo, evitate di comprare i tomtar prodotti in serie e venduti nelle trappole per turisti, ma fate piuttosto un salto al meraviglioso Tomtar & Troll nella città vecchia. È un negozio artigianale, dove troverete i tomtar (e i troll) più belli di Svezia, creati a mano dalle signore proprietarie. Ne vale la pena!


Un fantastico cortometraggio del 1926 basato su Tomten con sottotitoli (purtroppo approssimativi) in Inglese

Tintin e il “politicamente corretto”

Una delle caratteristiche più note degli Svedesi è la tendenza al non volere mai urtare la sensibilità altrui. Questo finisce per fare sembrare gli Svedesi come un popolo introverso oltre il limite del chiuso, quando, in realtà, si tratta appunto di paura di invadere la sfera altrui.
È quindi normale che, in un paese come questo, il “politicamente corretto” sia spesso portato a livelli estremi.

Di oggi una notizia che ha del clamoroso, se non del ridicolo.
TinTin, il capolavoro fumettistico del belga Hergé, serie tuttora amata a dismisura in Svezia (anche prima del recente film di Spielberg) è stato bandito dalla biblioteca della Kulturhuset di Stoccolma per via della rappresentazione di alcuni stereotipi razziali, in particolare per quanto riguarda certi personaggi africani, arabi e turchi.

Poco importa, ovviamente, che certi stereotipi colonialisti fossero figli del tempo in cui gli albi sono stati scritti, e che non abbiano avuto alcun impatto negativo sulla popolazione che con quegli albi è cresciuta.
La notizia è stata presa anche dagli svedesi stessi. Fra i commenti letti da alcuni amici su Facebook ce n’è uno che sintetizza appieno la situazione. “Questa è follia storica e talebanesimo. Gente completamente priva di humour, distanza e prospettiva storica”.

La decisione è davvero folle, e sono in molti, me compreso, a sperare che il signor Behrang Meri, direttore artistico della “Casa della Cultura” sia costretto a tornare sui suoi passi.

UPDATE: Come segnalato nei commenti dal buon gattovi, Kulturhuset ha già fatto retromarcia! Evviva!