Ha fatto decisamente scalpore, negli ultimi giorni, la notizia per cui nella civile Svezia verrebbe negata la terapia intensiva agli anziani sopra gli ottanta anni e anche a quelli di età più bassa in caso di condizioni preesistenti.
Cosa c’è di vero?
Il documento che è circolato, pubblicato dal quotidiano Aftonbladet, è sicuramente un documento vero del Karolinska, e non è stato smentito da nessuno. Il documento parla chiaramente di distinzione in base all’età biologica (che non è quella anagrafica, ma questo è un altro discorso) e di condizioni significative preesistenti agli organi.
Indicazioni generali per la terapia intensiva:
- Il paziente non si oppone alla terapia intensiva
- La sopravvivenza e il recupero vengono giudicati probabili in relazione al livello funzionale abituale e la situazione complessiva di malattia
- Assenza di un’altra malattia con aspettativa di vita più corta di 6-12 mesi
- Età biologica inferiore ad 80 anni
- Età biologica compresa fra i 70 e i 80 con compromissione significativa di al massimo un apparato di organi
- Età biologica compresa fra i 60 e i 70 con compromissione significativa di al massimo due apparati di organi
Nel documento viene specificato cosa si intende per età biologica e che questa può essere quindi “più bassa o più alta di quella anagrafica”.
Il documento è basato sui principi della pubblicazione “Principi nazionali per la prioritarizzazione della terapia intensiva in situazioni straordinarie”.

Riassumendo: ad un settantanovenne (facciamo finta che non ci sia differenza fra età biologica e anagrafica) in buone condizioni di salute ma con problemi al cuore, la terapia intensiva non deve essere negata. La stessa cosa ad un sessantanovenne con problemi a due apparati.
La spiegazione del Karolinska è stata affidata ad un comunicato stampa:
Seguiamo le direttive nazionali e i principi di prioritarizzazione della terapia intensiva di Socialstyrensen. Non è l’età anagrafica ma quella biologica che conta nella scelta dei pazienti per la terapia intensiva. La prioritarizzazione medica parte sempre dalla prognosi che il paziente superi la terapia intensiva e si riprenda. Non dobbiamo sottoporre i pazienti ad una terapia molto dura se la prognosi non motivi la cosa.
Il documento è stato rilasciato negli ultimi giorni, quindi all’acuirsi della situazione, ma quasi sicuramente linee simili sono state seguite sin dall’inizio. Il dubbio l’avevo avuto già il 24 marzo leggendo un articolo del Dagens Nyheter.
L’età media delle 136 persone che finora sono state trattate in un reparto di terapia intensiva è di 63 anni. (…)
Una ragione per il fatto che l’età media è relativamente bassa è che molti anziani e molte persone con più malattie hanno difficoltà a superare la terapia intensiva.
Degli svedesi che sono morti di covid-19, una grande maggioranza non è mai passata per la terapia intensiva. Secondo il registro svedese della terapia intensiva, due persone trattate in terapia intensive sono morte, ma le statistiche non sono aggiornate e il numero esatto sarà probabilmente fornito nei prossimi giorni.
Quindi, la giustificazione che viene fornita è quella di volere evitare un accanimento terapeutico su persone che si ritiene non essere in grado di cavarsela.
In un commento sulla pagina Facebook collegata a questo blog, Francesco di Un Infermiere in Svezia mi ha confermato che il protocollo è stato applicato sin dall’inizio:
D’altronde, sia come detto da Francesco, sia come confermatomi da fonti interne affidabili, anche in Italia, almeno in determinati momenti e determinate località, si sono applicate linee guida simili (e sia chiaro che non mi interessa fare polemica al riguardo: se avete informazioni diverse mi va benissimo).
Infine, possiamo dare un’occhiata ai numeri forniti dal sito platz.se: possiamo così vedere che, almeno una piccola percentuale di ultraottantenni ha effettivamente ricevuto cure intensive. Se questa percentuale sia, dal punto di vista medico ed etico, giusta o troppo piccola, non sta a me giudicarlo. Ancora una volta mi sono limitato a riportare i fatti di cui sono a conoscenza, senza considerazioni personali sul merito.
AGGIORNAMENTO: Mi hanno passato un link in cui, effettivamente, si spiega che la situazione è cambiata nelle ultime settimane.
In pratica si spiega che, nonostante ci siano posti disponibili in terapia intensiva, si è deciso di dare un giro di vite in termini più restrittivi, per essere pronti al peggio.
Un paio di estratti:
In precedenza mettevano senza pensarci troppo gli ottantenni in terapia intensiva e ora abbiamo smesso. Un paziente ottantenne con il covid-19 non trae beneficio dalla terapia intensiva. Cinque settimane fa, più persone avrebbero ricevuto la terapia intensiva, se abbiamo stretto troppo lo vedremo a posteriori.
Questo in pratica significa che una persona che ha 80 anni con remote probabilità, ma comunque pur sempre qualcuna, di sopravvivere ad un trattamento, non lo riceve più nonostante ci siano posti disponibili. (Johan Styrud, presidente dell’associazione dei medici di Stoccolma)
Ci sono pazienti che avrebbero ricevuto il trattamento in precedenza, ma che non lo ricevono ora?
Non sono in grado di rispondere a questo, ma è chiaro che siamo costretti a giudicare in maniera più precisa la possibilità che il paziente possa trarre giovamento dal trattamento. Questo ha anche a che vedere con il fatto che se uno ha il covid-19 ad un’età più avanzata ed ha altre condizioni precedenti, la probabilità di sopravvivere bassa, come evidenziato da studi internazionali. E a quel punto si rischia di avere ridotto le possibilità di qualcun altro. Prima del virus avevamo maggiore spazio di manovra: potevamo avviare un breve ciclo di terapia e attendere una reazione, ma ora non abbiamo più le stesse possibilità. (Björn Persson, responsabile del reparto di terapia intensiva all’ospedale universitario Karolinska)